martedì 31 maggio 2011

L'amore a colori

Il Luogo del Cuore è un libro che vuole raccontare di una storia d'amore tre due persone di etnie diverse, una lei italiana e un lui senegalese... un amore diverso, colorato, che può dividere ma anche unire due persone che all'amore ancora ci credono.
Narra anche della condizione di un uomo in una terra che non è la sua, di quella malinconia che ti pervade quando senti al mancanza della tua gente, della tua cultura..Si, legge in una nottata... assicurato!
Voglio ringraziare Bianca Isalou per la segnalazione e per i suo gusti sempre ottimi e apprezzati! ^_^

“ Il Luogo del cuore”, una storia un’amore. Edizioni dell’arco.

di Donata Testa (1955) . Da anni si occupa di corsi di avvicinamento alla cultura 
africana nelle scuole materne ed elementari della provincia di Torino.



NOTTE
Cerchi un sasso, trovi una piuma. 
Cerchi un sole, trovi la luna. 
Cerchi e non trovi. 
Cerchi e trovi altro. 
E in tutto questo nostro infinito tragitto del cercare, capita che un uomo possieda una donna desiderandone un’altra, che una donna si lasci prendere sperando una diversa mano, un diverso respiro. Eppure quel darsi al contrario, per sbaglio o bisogno è un trovare, un rapido e caldo trovarsi che allarga e non dev'essere gettato mai, per alcun motivo. 

Nel sonno sento un corpo raggiungermi, divenirmi parte. 
Sono sdraiata sul fianco.
Il corpo mi è addosso. 
Sento mani ruvide percorrere la schiena, farsi strada e cercare i seni.
Li toccano, ruotano loro intorno come giostra impossibile a lasciarsi, a essere frenata. 
Ditra prendono i capezzoli, li avvitano, li riavvolgono come filo disordinato e li tirano e impongono durezza. 
Ancora mani scendono e violente dita sfregano e arrossano cercando la fessura grande, la vagina. 
Attraversano prepotenti e cattive le labbra, pretendono il desiderio che c’è, sta arrivando e toglie il respiro. 
Mani forti entrano nella casa già umida, aperta per ricevere ospite inaspettato. 
Il corpo mi gira con movimento deciso e la bocca è sul seno. 
Le labbra aspirano il capezzolo rigido. 
Beve il mio latte. 
Sta li, la testa sul ventre e beve latte fermo, alimento dimenticato di figli. 
Sono donna e madre di un uomo che si nutre e mi scioglie. 
Lo tocco e mi piace il sentito. 
Con scatto entra nella casa. 
Ne diviene padrone. 
La gira e la rigira come sua. 
Si muove per sé ma conosce ciò che si costruisce tra due. 
Vuole farsi libero slegando il nodo. 
Non ha fretta e mi muove, dirige le mie mani e se le posa sul petto. 
Lo percorro intero, m’infilo tra i peli come cespugli arricciati e afferro i piccoli bottoni dei suoi capezzoli e vorrei morderli e anche possederli, farli entrare anch'essi come quella piccola parte, frazione misera di un intero che intanto mi possiede con cura. 
Io parlo e parlo a vanvera,dicendo il vero e gemo e sono piena del suo pene, che se ne va in alto cosi in alto da farmi divenire un piccolo punto, solo quel punto,e lo voglio, lo voglio questo corpo che sale nel mio, che si arrampica come scalatore, che va a cercare le soffitte e desidero la sua acqua a riempire e lavare. Divenga mia parte e con me circoli sia sangue, ossa, occhi con forza sigillati.
L’uomo sta lassù, si sposta fin dove può, sale con le gambe, le anche, le braccia,il petto. 
Sento il respiro farsi affanno e so che è arrivato in cima, ha percorso la strada e ora mi saluta con la mano, si congeda. Vorrei che adesso potesse entrarmi completamente e per sempre, come quando da bimba volevo il mare, non fare il bagno, ma essere mare. E in quest’attimo del suo liquido sparso, vorrei sparire in lui risucchiata. 
Dissolvenza incrociata e all'istante, fusione totale, assenza di uno, di me. 
Mi rigiro e trattengo, chiudo le porte di casa. 
Separo il dentro dal fuori. 
Lo tengo al riparo. 
Non apro gli occhi bendati dalla paura. 
Soltanto ascolto il corpo. 
Non voglio lo svelamento: sogno realtà lui un altro. 
Ricerco il respiro tranquillo del sonno. 
Quando un uomo visita così la mia casa è per un sempre escludente. 
Nessun’altro può possederne la chiave. 
...
Ascolto con calma il suo andarsene e già mi manca. 
Desidero essere sogno e sentire il sogno intorno, come scialle leggero, piuma di vita. 


lunedì 30 maggio 2011

Punto e a capo


Mettere un punto e andare a capo... ricominciare a scrivere un altro periodo... anche ieri si parlava di voltare pagina, di prendere decisioni... certe scelte ci appaiono avventate, in realtà è che evidentemente qualcosa non sta funzionando... è come voler vestire a tutti i costi una taglia 40 quando indossiamo una 44! Manca l'aria, ci si innervosisce, e il risultato allo specchio non è dei migliori... se c'è un malessere vuol dire che qualcosa in quella determinata situazione sta andando male... poi magari la colpa è degli ormoni, di quelle fragilità labili che tutti abbiamo... Non è dato sapere se le scelte fatte, dettate dall'impulsività, sono giuste o sbagliate, sarà il tempo a parlare, come sempre.Magari si deluderà qualcuno, ma la vita mi ha insegnato che non si possono soddisfare tutti... 

domenica 29 maggio 2011

Un capitolo chiuso... ne inizia un altro?


Capita di chiudere una situazione, ma riflettendoci, una chiusura non è sempre da vedere come un qualcosa di negativo... è una tappa raggiunta, è comunque una crescita. 
Queste considerazioni sono frutto di un pensiero letto su Facebook condiviso da una  bellissima donna, nel quale esternava la sua volontà di voler chiudere un blog, il suo blog ... ho sorriso leggendo quelle righe, nonostante io sia una pessimista ho pensato che quel gesto fosse positivo, che non stava chiudendo per distruzione o per scappare da verità scomode, ma semplicemente la crisalide si è svegliata, pronta a prendere il volo verso nuove mete, nuovi blog....Un capito chiuso, che ha segnato, ha fatto commuovere, esultare un cuore... un percorso di vita vissuto... 
Poi c'è anche chi chiude un qualcosa a causa di  un carattere distruttivo e nei momenti di rabbia cancella tutto quello che ha costruito, lo so bene perché è anche una mia tendenza, è una sorta di autopunizione che  ci si infligge per aver osato sbagliare, c'è chi mi dice che forse sono troppo severa con me stessa, e in parte è cosi... Si riesce ad essere calmi e riflessivi quando si tratta di dover affrontare le spigolosità degli altri, pronti a indossare l'armatura per sconfiggere i draghi delle persone che si sono vicine,  ma quando si tratta delle nostre spine, dei nostri draghi, bè si tende a rimandare, a nascondersi dietro giustificazioni plausibili e meno.... mamma mia che pasticcio che riusciamo a combinare!
Rosathea

sabato 28 maggio 2011

Prostituzione: lo sapevate che?

Buongiorno a tutti! Curiosità mosse da un post letto su facebook...  la prostituzione nell'antichità, davvero contenuti interessanti! 
Buona lettura a tutti!

Rosathea

Le prostitute greche, sapendo  che la pubblicità  è l'anima del commercio, incidevano la suola delle loro scarpe a mó di timbro, in modo che rimanesse impressa sulla strada da loro percorsa la seguente frase: 
"SEGUI I MIEI PASSI".

Amate e ripudiate, sfruttate e rese immortali nei versi dei poeti, le prostitute nell'antica Roma hanno avuto un ruolo sociale di primo piano, come testimoniano centinaia di documenti risalenti al periodo compreso tra il 200 a.C. e il 250 d.C.. L'atteggiamento dei romani nei loro confronti era controverso, intessuto di paradossi e apparenze. Il bordello, interdetto moralmente ai patrizi, veniva definito, con tono arrogante e misogino, lupanar (o lupanarium ), ossia «tana dei lupi», delle donne-lupo, dal momento che la parola lupa (femmina del lupo), era spesso usata anche per le meretrici. Il termine lupanar aveva quindi un valore dispregiativo, che evidenziava la natura rapace, predatrice ed egoista della prostituta, rinnegandone, al tempo stesso, l'umanità . Nonostante questi pregiudizi, le case d'appuntamento a Roma e nell'Impero erano molto frequentate, e le prostitute non attiravano le attenzioni solo dei ceti medio-bassi. L'aristocrazia vedeva nel sesso a pagamento uno svago e una attività  economica con un notevole flusso di denaro contante dai profitti alti e dai costi - anche quando le schiave e la casa dovevano essere acquistate - relativamente modesti. Così, le prostitute avevano libero accesso anche a terme e spettacoli, luoghi ed eventi destinati ad accogliere un gran numero di persone. La discriminazione sociale, tanto a cuore ai patrizi, era paradossalmente elusa in edifici d'uso pubblico e non in zone malfamate. Gli aristocratici erano evidentemente liberi di patrocinare gli incontri alle terme, ma rischiavano la loro reputazione se avessero messo piede in un bordello o popina . L'idea di reprimere o creare zone riservate per le prostitute - come fecero in seguito i cristiani - non sfiorava nemmeno il pensiero dei cittadini romani: per loro era sufficiente incaricare alcuni ufficiali di sorvegliare i bordelli e mantenere l'ordine pubblico. In realtà , questi soldati si limitavano a tutelare la distinzione di status tra prostitute e donne rispettabili e a riscuotere per lo stato tasse e canoni d'affitto delle proprietà  pubbliche. D'altronde, per l'erario le meretrici erano una fonte di cospicui guadagni: erano molte e poco costose, il loro lavoro tassabile. Alcune di loro intraprendevano la professione spinte dalla prospettiva di un beneficio economico, la maggior parte erano costrette a farlo da schiavisti o lenoni aggressivi. Paragonata alle brulle alternative che l'economia romana offriva alle donne costrette a trovare lavoro, la prostituzione poteva essere una possibilità  attraente, sebbene illusoria, dal momento che anche le prostitute «libere» erano sfruttate. Si trattava in ogni caso di una professione che offriva il miraggio di profitti elevati, come dimostrano le tariffe in uso in età  imperiale: una prostituta poteva guadagnare da 0,25 a 16 assi per prestazione e forse più. Le prostitute di basso rango prendevano per ogni singolo incontro un sesto dello stipendio giornaliero di un 
lavoratore maschio della tarda repubblica. Se paragoniamo le tariffe applicate in un bordello nella Norimberga del quindicesimo secolo - che Peter Schuster ritiene pari a tre ore di lavoro di un apprendista - a quelle della tarda Repubblica e del primo Impero, si deduce che il sesso a pagamento era poco costoso e accessibile a molti uomini poveri. Certo, esistevano anche meretrici d'alto livello. Ma alcune cifre leggendarie, riportate dalla letteratura, elargite a prostitute (o amanti) sembrano solo frutto della fantasia, come i centomila sesterzi (ricordiamo che un sesterzio era l'equivalente di quattro assi) che Marziale dichiarava d'aver sperperato per un'amante a Leda. Le tariffe indicate sembrano per la maggior parte plausibili. I riferimenti alla cosiddetta quadrantaria («ovvero la donna che richiede un quarto d'asse per una prestazione») 
sono forse puri insulti, mera diffamazione, dal momento che il «prezzo» di un quarto di asse è molto lontano dalla media attestata: di solito le prostitute più vecchie o meno attraenti richiedevano un asse. Due assi era invece la tariffa per le prostitute di basso livello. Prezzi bassi, modesti, alla portata di tutti. In fondo, due assi era il prezzo di una fetta di pane. Per avere un'idea del volume d'affari del mondo a luci rosse romano basta prendere in considerazione la situazione a Pompei. Le prostitute in attività  - circa un centinaio - avevano 
complessivamente una media di cinquecento rapporti ogni giorno e guadagnavano in totale almeno mille assi (250 sesterzi) giornalieri. Il profitto che lo stato ricavava dalle prostitute ai tempi di Caligola, invece, dovrebbe essere stato come minimo di 50 sesterzi al giorno, vale a dire 18.250 all'anno. 

Si chiamano  "zoccole" perchè anticamente si faceva indossar loro gli zoccoli in modo che il rumore che questo tipo di calzatura produceva sui ciottoli avvertisse chi era nei dintorni della presenza della professionista.

In questa accattivante rassegna delle variegate pratiche sessuali degli etruschi non poteva certo mancare il sesso di gruppo, lo scambio di coppie e la sodomia. Ed è qui che Teopompo dà  il meglio di sè, con un finale pirotecnico e spettacolare. Dunque, a suo dire, i nostri cari etruschi in occasione di incontri conviviali, a sfondo familiare o di carattere sociale, dopo aver abbondantemente mangiato e soprattutto bevuto, al momento di coricarsi, si apprestano a ricevere indistintamente le cortigiane, le mogli o bellissimi giovani. Dopo aver ampiamente goduto di questi e di quelle, presi evidentemente da un moto di grande generosità , lasciano il posto a giovani vigorosi perchè possano soddisfarsi, restando, presumiamo, a guardare. Il tutto avviene in modo promiscuo o, più frequentemente, al riparo di semplici paraventi di rami intrecciati sui quali appendono i mantelli. Dopo questo bel quadro edificante Teopompo non puó peró fare a meno di sottolineare che gli etruschi preferiscono comunque le donne, ma "talvolta" si danno ai piaceri con giovani e ragazzi, che del resto in Etruria sono bellissimi perchè sono abituati al lusso e usano depilarsi il corpo. 
Il primo commento che verrebbe da fare a queste affermazioni è "da quale pulpito...", in effetti Teopompo attribuisce agli etruschi "vizi" e costumi che sono tipicamente greci, e che i greci hanno, per così dire, "esportato" in Etruria. Il gioco è abbastanza scoperto: ogni volta che il nostro accenna ai ragazzi etruschi non riesce a trattenere la sua ammirazione e si profonde in lodi per la loro prestanza e bellezza. In verità  gli etruschi, come vedremo nel prossimo capitolo, non approvavano l'omosessualità , ma non è escluso che essendo sensibili e aperti alle esperienze socio-culturali dei popoli con cui venivano a contatto possano averla accettata e marginalmente praticata. Di certo non entró mai nel costume. 
E veniamo, infine, al capitolo prostituzione. Qui non è solo Teopompo a dire la sua, è un autentico coro di scrittori greci e latini che elevano lamenti ed alti lai per l'asserita immoralità  delle donne etrusche, talvolta contrapposta alla virtù e alla castità  delle donne greche e romane. Al punto che in epoca tarda la parola "etrusche" era quasi sinonimo di prostitute. Timeo, Platone, Plauto, Livio... per citare i più noti, un vero plotone. Nel richiamare quanto già  detto sulle peculiarità  della posizione della donna nella società  etrusca, vogliamo solo aggiungere che certamente presso gli etruschi la prostituzione è esistita, come presso qualsiasi altro popolo, in qualsiasi altra epoca (non a caso è il mestiere più antico del mondo...). Che il fenomeno avesse le dimensioni paventate è da escludersi, non essendo ció supportato da alcun dato oggettivo. Sappiamo da fonti storiche, ed in parte anche archeologiche, che in Etruria la prostituzione veniva praticata nella sua forma più "nobile": la prostituzione sacra. Presso il tempio di Pyrgi le ierodule, vale a dire le prostitute sacre, offrivano se stesse ai pellegrini e ai viaggiatori per sostenere le spese del tempio ed incrementarne le ricchezze. Tali ricchezze dovevano essere evidentemente cospicue se suscitarono l'avidità  di Dionigi I che nel 384 a.C., alla testa della flotta siracusana, riuscì a impadronirsene, nonostante il soccorso degli abitanti di Caere in difesa del loro porto. A ben vedere anche le "signore", impegnate nello svolgimento di raffinate pratiche erotiche con una pluralità  di partner, raffigurate nella tomba dei Tori e in quella della Fustigazione nella necropoli di Tarquinia (cfr. il prossimo capitolo), dovevano senz'altro essere delle prostitute. Ma dobbiamo fermarci qui, altri dati di particolare rilievo non ne abbiamo. Un po' poco per fare dell'Etruria il luna park della prostituzione.

La cavigliera (il braccialetto per caviglie) veniva usata nel '700 dalle prostitute francesi con le mestruazioni, per segnalare che erano disponibili solo oralmente.


A Roma si affermò la figura della cortigiana cosiddetta "da candela" o da "lume", chiamata così perché abitava talvolta nel retrobottega dei venditori di candele o perché usava una candela per misurare il tempo di ogni cliente. Queste sono registrate nei libri degli stati delle anime delle parrocchie romane, come meretrici o curiales, donne povere che spesso si prostituivano, divenendo, per usare un termine di Delumeau[28], "delle cortigiane provvisorie" specialmente nei momenti più acuti di miseria, ad esempio durante le carestie: grave fu a Roma quella del 1590-92 che fece aumentare il numero di prostitute presenti in città . Ma quante erano le cortigiane a Roma? Nel XVI secolo ne vennero in gran numero, così come molti altri poveri, da varie parti d'Italia, come emerge dalle statistiche del Cerasoli[29]. Il Delumeau[30] calcola, sulla base dei dati forniti dai censimenti degli anni 1599-1605, che dovevano esserci 17 cortigiane ogni 1000 abitanti di sesso femminile. Umberto Gnoli[31], facendo riferimento al censimento del 1526, calcola che a Roma erano circa 4900 su 55035 abitanti censiti, circa il 10 per cento della popolazione. E' chiaro che questi dati sono relativi a periodi particolari e non possano corrispondere pienamente ad una situazione costante nel tempo, ma concretamente si può pensare che quest'ultimo dato, preso come valore medio, possa quantificare la loro presenza dalla metà del cinquecento in poi. I bandi e gli avvisi di Pio V mostrano una severità particolare anche nel reprimere la prostituzione, attraverso i metodi della segregazione prima e dell'espulsione dalla città dopo. Dal 1566 iniziarono le disposizioni contro la prostituzione. La vicenda delle cortigiane romane va di pari passo con la concezione negativa che si ha, come già detto, del povero lungo l'età moderna. La stessa meretrice rappresentava il nesso indissolubile, l'esempio vivente del connubio tra peccato e povertà e tra povertà e vizio[32]. Povere pericolose perché immorali. Povere colpevoli che minano l'aura sacra della città di Roma. In un avviso del 3 agosto 1566 Pio V sottolinea il carattere infame della presenza delle meretrici nella città eterna: "...l'infamia ... che dalle meretrici siano habitate le più belle strade di Roma santa, ove è sparso il sangue dei santi martiri, ove sono tante reliquie, tante devotioni, ove è la Santa Sede Apostolica et tanta religione: città , che per specchio del mondo tutta doverà esser monda da vicii et peccati a confusione d'infideli et eretici..". Tra le categorie marginali che popolano le carceri emergono anche le prostitute: gli arresti oscillavano, nel luglio del 1570, tra i dieci e i venti ogni giorno. Di loro si dice "frequenter carceribus mancipantur", poiché erano spesso all'origine di risse e discordie.[33] Nelle carceri le cortigiane assieme alle donne avevano un settore a parte. La pena che viene loro inflitta è spesso l'esilio da Roma ed il ritorno nella città di origine; a volte si incontra la fustigazione ed i tre tratti di corda (questa forma di punizione consisteva nel legare le mani del condannato dietro la schiena con una corda che, passata attraverso una carrucola, serviva a sollevarlo da terra; ogni tratto corrispondeva nel sollevare e lasciar cadere di colpo il reo). Accanto all'atteggiamento repressivo che accompagna le misure contro la prostituzione ve ne è un altro che considera questa attività una fonte di introiti per il governo, che vede le prostitute in funzione di interlocutrici all'interno del sistema legislativo in quanto contribuenti. Si è alla presenza di una serie di provvedimenti che obbligano le meretrici a contribuire al bene della città : in occasione della sistemazione di via Ripetta fu imposta loro una tassa; le meretrici erano inoltre tenute a pagare un tributo fisso di 10 carlini[34]. Con quest'ultimo provvedimento le stesse prostitute erano difese dalla legge contro gli abusi degli esattori, che in caso di frode nei loro confronti incorrevano in pene severe, come la galera ed i tre tratti di corda. In tal senso il governo si assumeva la tutela delle prostitute in quanto contribuenti da difendere contro i soprusi. In realtà la missione che Pio V si era proposto non era tanto l'abolizione della prostituzione, cosa oltretutto difficile viste le resistenze che i suoi provvedimenti già trovavano, bensì l'opera di moralizzazione della città che doveva far assurgere Roma a modello per tutta la cristianità , nello sforzo di rinnovamento che in quel periodo la Chiesa chiedeva innanzitutto a se stessa. Gli ostacoli che abbiamo accennato provenivano anche dagli interessi economici che legavano indissolubilmente le prostitute al resto della città . Infatti, quando Papa Ghisleri decise la cacciata di alcune prostitute da Roma nel 1566 e contemporaneamente pensò di rinchiudere le altre prima in Trastevere e successivamente nella zona dell'Ortaccio, molte furono le proteste che provenivano ad esempio dagli affittuari delle case che in questo modo videro crollare i prezzi, dai conservatori che videro diminuire il gettito della dogana e da molti commercianti che avendo dei crediti tra le meretrici li videro sfumare assieme alla possibilità di fare buoni affari con le medesime. Il papa che decise di proseguire l'atteggiamento di Pio V verso la prostituzione fu Sisto V. Le pene inflitte alle meretrici sotto Sisto V sono particolarmente dure poiché mirano anche alla loro umiliazione: spesso viene prevista, quando vengono colte in flagranza di reato o perché sono in contravvenzione ai bandi, la spoliazione che consiste nella confisca di tutte le cose che avevano con sé compreso lo stesso abito. Si assiste alla fine del cinquecento ad una svolta dell'atteggiamento della chiesa nei confronti della prostituzione: da una parte la legislazione si concentra sulla repressione e non solo sulla richiesta di contributi; dall'altra vengono colpiti anche coloro che si accompagnano alle prostitute. Gli uomini loro complici o che per stare con loro contravvengono alle disposizioni governative incorrono anche loro in pene, meno umilianti rispetto alle meretrici, ma pur sempre dure: a questi spetta la fustigazione o i tre tratti di corda. Questa situazione si confermerà agli inizi del secolo successivo. Nel XVII secolo i provvedimenti mirano a colpire sempre di più gli uomini trovati in loro compagnia. Tutto ciò sembra figlio di una strategia precisa che è quella di isolare le meretrici attenuando contestualmente nella città il reato. Ma la novità maggiore che si può cogliere agli inizi di questo secolo, e che si scorge anche nelle precedenti disposizioni di Sisto V, è che nei bandi viene evidenziato il reato dello stupro e dell'avviamento o istigazione alla prostituzione. Per il primo reato vengono stabilite pene diverse a seconda se si tratti di una donna onesta, nel qual caso il violentatore può incorrere nella pena capitale, o di una meretrice, ed allora il reo dovrà minimo pagare una multa o al massimo scontare sette anni di galera. Se c'è quindi una mutazione legislativa tendente a reprimere gli abusi anche verso le meretrici perseguendo i colpevoli, esiste pur sempre una forte discriminazione nei loro confronti dettata dal fatto che esse stesse inducono al peccato essendo la fonte dello stesso. 

La risposta che in quegli anni viene data dal governo pontificio non si esaurisce solo nei provvedimenti legislativi; contestualmente nascono, sotto la spinta riformista, delle istituzioni che vogliono dare una risposta operativa al problema. Tra queste, nella metà del Cinquecento, troviamo il Conservatorio di S. Caterina della Rosa detta anche dei Funari che nasce, ispirato probabilmente anche da S. Ignazio da Loyola, con lo scopo di raccogliere le figlie delle cortigiane e le fanciulle povere in pericolo di prostituzione, per sottrarle al proprio destino. Ma nelle regole del Conservatorio emerge una scelta particolare che è utile sottolineare: non è la fanciulla povera o abbandonata che può trovare accoglienza in questa casa, tant'è che non venivano accettate né le brutte, né le storpie, né quelle malate. Questo perché pur essendo povere, proprio a causa della loro condizione fisica, non versavano in stato di pericolo, ossia non avevano molte possibilità di affermazione nel mondo del meretricio. Sempre agli inizi del cinquecento viene fondato il monastero di S. Maria Maddalena[35] che ha lo scopo di accogliere le prostitute pentite e tra queste non quelle anziane e disperate ma quelle giovani che in modo volontario, colte da crisi religiosa, scelgono di cambiare la loro vita e donarsi interamente al Signore. E' chiaro che questa scelta di campo che viene operata nella costituzione stessa del monastero taglia fuori quell'alto numero di meretrici che in vecchiaia riscopriranno la propria fede, in quel periodo della vita quando le malattie, la miseria e le difficoltà le accomuna un po' tutte, facendo divenire il convento spesso l'unica reale alternativa; ma tale scelta è figlia della convinzione che il pentimento, quando uno è vecchio, non è genuino, reale, vero perché promana da uno stato di bisogno. Per la maggior parte povere tra i poveri queste cortigiane "da candela" o meretrici sono un'espressione, fra le tante, di quella variegata realtà che è il pauperismo nel cinquecento; esse, diversamente dagli altri poveri, hanno l'aggravante di essere peccatrici per la vita immorale che conducono e per il fatto stesso di essere donne, la cui assenza, però, così come ci testimonia un avviso sulla polizia dei costumi del 19 luglio 1567 che informa della cacciata di 60 meretrici dalla città , suscita il malcontento generale

La Grande prostituta.Anticamente, il sesso era considerato una vera e propria liturgia, che permetteva ad entrambi i partner di trascendere i propri sensi comuni per entrare in una nuova dimensione spirituale.Essenzialmente si trattava di un rito di passaggio e di trasformazione interiore: di qui la ierodula, la serva-amante, veniva chiamata pertanto «Grande Prostituta» (assumendo l'epiteto della dea al cui servizio era addetta), ed eseguiva ogni volta un particolare atto sessuale di coitus reservatus, un intenso e prolungato orgasmo di tutto il corpo senza emissione di fluido seminale, il quale avrebbe condotto l'uomo all'horasis, l'illuminazione spirituale.L'atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo  per fare esperienza del divino e il corpo della sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in rapporto con gli deiPer i pagani, infatti, le donne erano naturalmente in contatto con il divino, mentre l'uomo, da solo, non poteva raggiungere questo obiettivo.L'atto sessuale assolveva così per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o ravvivatori di presenze divine, dall'altro aveva una funzione strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era lo strumento per la partecipazione dell'uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.Alle ierodule era solito attribuirsi gli epiteti di «Vergine Santa» o «Grande Prostituta»,titoli che in ogni caso nel paganesimo matriarcale si riferivano comunemente ad una sacra sacerdotessa depositaria dell'oscuro segreto femminile relativo alla gnosi magica del divino, essendo costei l'incarnazione terrena della Dea sotto la cui benedizione amministrava nei templi il culto religiosoTra le incombenze liturgiche delle Sante Vergini o ierodule, le serve sacre del tempio, c'erano i doveri di somministrare la grazia celeste della Dea, di far guarire dalle malattie attraverso lo sputo medicinale e le secrezioni della vagina] di profetizzare di eseguire le sacre danze in onore della divinità nonché di intonare le lamentazioni funebri e di diventare «Spose» del dio-sacerdote nei riti prestabiliti del matrimonio sacro.
L'appellativo Vergine Santa non stava però ad indicare verginità fisica in senso stretto, ma piuttosto acquisiva il significato di «ragazza nubile»: pertanto le ierodule erano sia vergini in quanto non vincolate da alcun legame matrimoniale, e sia sante perché manifestavano pubblicamente la funzione sacerdotale, essendo la rappresentazione terrena delle varie dee nei cui confronti amministravano il culto religioso, basato sulla sessualità sacra. Sicché, qualora fosse stato generato un figlio, per logica a costui si conferiva un epiteto che allora non poteva dar luogo ad equivoci, ove nel caso particolare dei Semiti suonava come bathur e per i Greci parthenioi, cioè il nato da vergine.(Ripastreghe)

Fin dall'inizio del 1840 le più importanti agenzie d'informazione, uomini di chiesa e donne nubili divennero sempre più preoccupati sia dalla masturbazione che dalla prostituzione, chiamata anche Il Grande Male Sociale. Benché le stime e il numero delle prostitute a Londra intorno alla metà dell'800 variasse notevolmente (William Acton nel suo studio miliare "Prostituzione", riportò che la polizia stimava in 8.600 il numero delle prostitute a Londra nel 1857), è sufficiente per affermare che il numero delle donne che lavoravano sulla strada divenne sempre più difficile da ignorare. Il Censimento fatto nel 1851 nel Regno Unito rese evidente lo squilibrio demografico con un 4% in più di donne rispetto agli uomini. A quel punto la questione della prostituzione da problema etico-religioso divenne problema socio-economico. Il censimento del 1851 mostrò come la popolazione della Gran Bretagna fosse di circa 18 milioni di abitanti: ciò significava che circa 750.000 donne sarebbero rimaste nubili semplicemente perché non c'erano abbastanza uomini.

Già dalla metà del 700 nacque qualche ospizio che si occupava di riabilitare le prostitute, ma dal 1848 al 1870 il numero di questi ospizi che lavoravano per riscattare queste donne perdute, riqualificarle e introdurle in una società rispettabile per farle lavorare come domestiche, ebbe una grande esplosione. Il tema della prostituzione e delle donne perdute (un termine di comodo usato per descrivere ogni donna che avesse rapporti sessuali al di fuori del matrimonio) divenne l'argomento  principale di ogni discussione letteraria e politica medio-vittoriana, vedendolo come problema sociale e discutendo su cosa si doveva fare di loro.
Nel 1864 il Parlamento approvò la prima legge sulle Malattie Contagiose: una serie di misure volte a ridurre la diffusione delle malattie a trasmissione sessuale nelle forze armate, applicata a un numero di porti e città. Alle forze di polizia sono stati concessi i poteri per identificare e registrare prostitute, costrette a subire ispezioni corporali obbligatorie. Le donne che rifiutavano di sottoporsi volontariamente potevano essere arrestate e portate davanti a un magistrato.
Poiché la decisione su chi fosse una prostituta era lasciata al giudizio di ufficiali di polizia, molte più donne di coloro che lo erano effettivamente furono esaminate. Dopo due ulteriori emendamenti, nel 1866 e nel 1869, l'ingiusta legge fu finalmente soppressa nel 1886. Una pioniera di questa lotta fu Josephine Butler, che contribuì alla fondazione di una società che lavorasse per abrogare le leggi di questo tipo.
Josephine Butler, 1828-1906, un leader femminista, attivista instancabile e scrittrice e ha condotto la crociata contro la legge sulle Malattie Contagiose (oltre ad altre, come ad esempio quella contro la prostituzione minorile a Londra). La campagna ha avuto successo: è stata sospesa nel 1883 ed abrogata nel 1886.  La legge sul divorzio introdotta nel 1857 consentì ad ogni uomo di divorziare dalla propria moglie per adulterio, ma viceversa una donna poteva divorziare dal marito adultero solo se l'adulterio si associava alla crudeltà. L'anonimato della città portò ad un notevole aumento della prostituzione e delle relazioni sessuali illegittime.







martedì 24 maggio 2011

La poesia di un cigolio

Mi guardi... non pensare che non abbia percepito il tuo desiderio, sento il tuo sguardo accarezzare la mia pelle odorosa di crema alla fragola... 
ti sento come un'onda violenta.. 
e sento aprirmi le gambe e inondarmi l'anima, cosi forte da scavarmi dentro... 
annuso l'aria e respiro la tua smania di avermi...
Passionale come un fuoco che avvolge e divampa... ma è sogno o realtà?
Il buio ci avvolge, non riesco più a vederti, ma sento le tue mani che mi cercano... lasciamo che siano gli altri sensi a condurre il gioco, lasciamo che siano le mani a percorrere ogni centimetro della nostra pelle, che siano le lingue ad intrecciarsi, umide, calde... 
L'udito è il senso più all'erta, ogni sospiro, ogni gemito viene catturato in questa strana nottata... è magia l'atmosfera che si è creata, una poesia fatta di fruscii, di respiri affannosi, di colpi  veloci che rallentano con l'aumentare del respiro e di cigolii del letto... 

domenica 22 maggio 2011

C'è del marcio su facebook!

Fumo, mi alzo, bevo un sorso d'acqua, poi cammino nervosamente per la casa... Non trovo pace, non c'è pace per quest'anima inquieta...
E' accaduto che in questi giorni mi siano state mosse delle accuse, giuste o sbagliate non c'è qualcuno in grado di giudicare... anche se c'è sempre chi si erige a sommo dispensatore di colpe e meriti, c'è sempre chi sguaina la spada della giustizia pronto a decapitare chi, a proprio parere ha commesso colpe da lavare nel sangue o con il sangue (oggi non guardo forma!)...
Che io abbia un carattere spigoloso si è sempre saputo ma se posso ci sono sempre, ma il problema di fondo sapete qual'è? Facebook...................................................... e qui, scusate ma chi cadono davvero le ovaie, mi chiedo come sia possibile scrivere cattiverie assurde e infantili perché su Facebook non ho salutato oppure ho tardato ad accettare l'amicizia... "ma cazzo non hai commentato i miei link!" " Non hai messo neanche un Mi piace"... e se non rispondi ti dicono che non accetti il confronto! Ragazzi, stiamo davvero messi male!!! Io su Facebook ho incontrato tanta bella gente ma anche tanti personaggi da prendere con le pinze! Si, c'è proprio qualcosa che non funziona... quindi mi sono trovata costretta a chiudere i miei profili, a rivedere amicizie virtuali e non, possibile che anche per passare una manciata di tempo in relax debba premunirmi copiando le conversazioni, cercando informazioni su chi mi chiede l'amicizia, insomma anche le relazioni virtuali stanno diventando paranoiche e malate!  Eppure i problemi ci sono ma facciamo di tutto per trovare motivi di discussioni inutili anche nel virtuale, se proprio volevo continuare a litigare mi sarei risposata diamine!
Forse, la cosa ancora più sconcertante è che tutti siamo diventati esperti conoscitori di dinamiche della psiche umana, pronti ad infilarci nei panni di grandi filosofi e asceti che tutto vedono e tutto comprendono... Tutto è diventato lavoro: l'amore è lavoro, il lavoro è giustamente lavoro, uscire è lavoro... che amarezza!

sabato 21 maggio 2011

Mi ami? Ma quando mi ami?

Lei: "Ho comprato una sottoveste di seta rossa, la indosserò per te amore mio".

Lui: "Amo la seta ed è per questo che resterei ore ad accarezzare il tuo corpo".

Lei:"Quando mi parli così mi fai sentire la donna più bella e sensuale in assoluto":

Lui:"Quando parlo con te, quando ti stringo, ti abbraccio, ti guardo,ti bacio ...  sei la regina dei miei sogni":

Lei:"Ho bisogno che tu me lo dica, perché altrimenti sto male e il mio pensiero diventa come un fiume in piena che travolge la mia vita... ho bisogno che tu me lo dica tutti i giorni... ogni giorno".

Quando in una coppia subentra l'insicurezza per l'altra persona diventa una fatica sostenere il rapporto... un lavoro quotidiano di conferme... Una cartolina da bollare, scontando sanzioni salate ogni volta che si tarda o che si salta il turno, ma solo perché oltre l'amore c'è una vita sociale, un lavoro o semplicemente l'umore ballerino... ma all'insicuro questo non interessa e l'egoismo acquista una posizione rilevante cancellando tutto quello che c'è di buono... è davvero assurdo questo comportamento, ma quasi tutti ci caschiamo... un rapporto malato, un amore in bilico su un cornicione... un discorso non solo al femminile...

Foto di Una Vignetta

giovedì 19 maggio 2011

La fragilità


La fragilità è un valore umano. Non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell'affrontare le difficoltà, nello rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione.? La fragilità è come uno scudo che ci difende dalle calamità, quello che di solito consideriamo un difetto è invece la virtuosa attitudine che ci consente di stabilire un rapporto di empatia con chi ci è vicino. Il fragile è l’uomo per eccellenza, perché considera gli altri, suoi pari e non, potenziali vittime, perché laddove la forza impone, respinge e reprime, la fragilità accoglie, incoraggia e comprende.

Vittorino Andreoli

Clinica dell'abbandono

Un ringraziamento a Luisa  per avermi fatto conoscere questo libro di Alda Merini... :)


IL SUO SPERMA


Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.




Leggere un libro di Alda Merini è come entrare in una stanza le cui pareti, a seconda del momento, ti sbattono a terra con una furia vorticosa, per rabbia, vendetta, per grande espiazione o si aprono in archi pieni d'aria e gratitudine, di canto larghissimo e fecondo. E mai, mai all'entrata ci si aspetta quello che dopo ci succede. Tutto arriva in faccia e coglie di sorpresa: la sua benedizione per un bacio impresso nella bocca come fuoco o il suo maledire gli abbandoni, gli sguardi mancati, le prove del disamore.

A leggerla, se non fosse così sovrana nello sfuggire sempre alla presa, parrebbe quasi di viverla fino in fondo, di accompagnare passo passo i minuti delle sue giornate, vestendoci di volta in volta delle sue estasi - appena vissute o sognate -  o dei suoi stessi strali, gravi di una giustizia che solo la sapienza d'amore rende divina.

Alda Merini ricorda tutto e la memoria di rinascite e tormenti trova spazio in ogni verso, lo marchia e lo consegna alle nostre mani nude, che a volte sanno già e altre volte devono imparare (a vivere, a morire ogni giorno).

"Clinica dell'abbandono" non sembra un libro a sé stante ma il proseguire del discorso, lo sviluppo naturale che la sua vita (e quindi la sua poesia) trova nello scorrere degli anni, nel rifiorire dell'amore o nel suo disfarsi; perché mai si interrompe il suo dialogo poetico col mondo, tutto in lei sgorga liquido naturalmente e  la riflessione sulla vita prende da subito l'andamento di quei versi.
 
Qui, come altrove, la pena della lontananza o dell'abbandono è sempre vissuta in modo assoluto, enorme, biblico: "Quando tu non vieni / le acque del parto / si diffondono in terra / e cade un pensiero meraviglioso", "prima di andare via / smetti di salutarmi / perché io non vivrò a lungo". La sua disperazione per l'assenza "è un gesto di morte fissa", perché la disattenzione uccide sempre chi ama.
C'è in lei l'urgenza e la pretesa di un'amorevole presenza in ogni istante e il dubbio spaventoso che la vicenda d'amore abbia fine: "avrà / tempo da dedicare ai miei giardini / d'inverno .... sarà vanto e dimora dei miei secoli?". Reclama un amore immenso, quasi votivo e da queste sue "montagne ardenti / della solitudine" sente di scrivere parole che, senza gesto d'amore ricambiato, "ricadono nude sopra uno stanco vangelo". 

Poi arriva il suo scagliarsi contro la colpa, "l'orrendo delitto" di chi teme l'amore e lo evita: "in te si è destato il pericolo / nemico supremo dell'amore  / e hai avuto paura di scendere nell'inferno / paura della tua resurrezione". Chiama a voce alta i cuori che"temono il giglio assolato del grande candore / che arde / nel cuore del poeta dentro le lunghe notti" e chiede che tutte le porte le siano aperte perché "l'anima germogli" e si compia il miracolo d'amore.
Essere incapaci d'amare, per Alda Merini, è un reato grave. Un reato contro la vita.

Ma ecco che, tra le tante tribolazioni di chi non vede corrisposta la misura grande del suo bene, di chi non trova mai proporzione tra bisogno e amore ricevuto, si aprono improvvisi squarci di luce e di respiro, tocchi lievi e fioriti di una donna che sa bene anche la gioia e la canta distesamente: "Io mi spargo di fiori ovunque  .... io canto i sentieri della bellezza", e che sa vivere con sacra naturalezza anche quando l'amore si incarna e si fa senso più vivo: "Il suo sperma bevuto dalle mie labbra / era la comunione con la terra" e ancora "Dio ci prese la carne e l'anima / mettendo insieme i confini". Così, un amore felice, pieno, diventa onnipotente e in grado di dare la libertà suprema: "Avevamo con noi i viveri / per molti anni ancora / i baci e le speranze / e non credevamo più in Dio / perché eravamo felici". Ma, allo stesso tempo, sa trasfigurare tutto "Beati coloro che si baceranno / sempre al di là delle labbra / varcando dei gemiti / il confine del piacere / per cibarsi dei sogni".

E proprio intorno a quei sogni ci chiama tutti a raccolta, con un richiamo così potente e vasto che solo un grande poeta ("con una gamba divaricata sul sogno") riesce a non dissipare: "sappiate da un poeta / che l'amore è una spiga d'oro / che cresce nel vostro pensiero / esso abita le cime più alte ...Giovinetti, scendete lungo i rivi / del vostro linguaggio / prendete la prima parola / portatela alla bocca / e sappiate che basta un segno / per far fiorire un vaso".

Noi siamo qui, davanti a questa voce che muove le montagne; da anni ascoltiamo i suoi travagli, le odi alla vita e i suoi "profetici silenzi". Ad ogni nuovo libro scorriamo la sua poesia, cercando col dito la frase capace di salvarci e, in tempi tanto martoriati, troviamo sempre tra i suoi versi uno speciale "vento di sollievo".

Nicoletta Bidoia



Parole come lame

E anche questa sera il sonno tarda a venire... i pensieri di questa nottata sono torbidi come acqua stantia, neri come quando calano le tenebre... spesso usiamo le parole con una facilità estrema, senza renderci conto che ci sono parole in grado di essere taglienti come un foglio di quaderno... avete presente quei taglietti fini che però non smettono di sanguinare, che bruciano e pulsano? Le parole spesso possono sortire quest'effetto... non ho voglia di fare polemica contro nessuno, non ho voglia di puntare il dito anche perchè non ne ho i titoli e poi non sono nessuno per permettermi di emettere sentenze lapidarie... 
Ho ricevuto una mail del genere... parole davvero pungenti... chi può dire dove sta la ragione e dove il torto? L'obiettività si perde in un bicchiere d'acqua e si rischia di fare come quei bambini che si incolpano a vicenda per una marachella scoperta... Ho sempre lasciato l'ultima parola al tempo e così farò questa volta... 

mercoledì 18 maggio 2011

Sei come creta nelle mie mani


"Mi soffermo a pensare a quanto bisogno d'amare e d'amore ci sia oggi... ai dubbi e ai pensieri che si arrotolano come foglie autunnali... abbiamo l'animo malato, carente di questo sentimento forse troppo bramato... ma cos'è che ci ha reso cosi sterili nel dare e bulimici nel volere?
Si creano e si distruggono maschere mettendo cosi in completa confusione la persona che ci sta accanto.
Si sa, è un periodo di crisi, di risparmio, ma lesinare anche sui sentimenti mi sembra sia il massimo... forse l'errore sta nel volersi appropriare totalmente di una persona, di plasmarla a nostro gusto e piacimento, strovolgendo il suo essere... c'è chi permette al proprio amato di forgiare l'anima a proprio gusto, snaturandola... con il tempo il proprio essere inizia a bussare, a scalciare, a graffiare con le unghie una prigione di cemento... e così il sentimento si ammala...c'è chi soccombe e chi invece decide per la libertà pagando il prezzo dell'abbandono..."


E' una questione di coraggio, decidere se continuare un rapporto a senso unico o se rompere a picconate quel muro di cemento vivendo un sano rapporto dove non sempre le opinioni sono le stesse... e poi, se si litiga c'è sempre il modo di fare pace! 



Dopo una giornata con i tacchi...