Buongiorno a tutti! Curiosità mosse da un post letto su facebook... la prostituzione nell'antichità, davvero contenuti interessanti!
Buona lettura a tutti!
Rosathea
Le prostitute greche, sapendo che la pubblicità è l'anima del commercio, incidevano la suola delle loro scarpe a mó di timbro, in modo che rimanesse impressa sulla strada da loro percorsa la seguente frase:
"SEGUI I MIEI PASSI".
Amate e ripudiate, sfruttate e rese immortali nei versi dei poeti, le prostitute nell'antica Roma hanno avuto un ruolo sociale di primo piano, come testimoniano centinaia di documenti risalenti al periodo compreso tra il 200 a.C. e il 250 d.C.. L'atteggiamento dei romani nei loro confronti era controverso, intessuto di paradossi e apparenze. Il bordello, interdetto moralmente ai patrizi, veniva definito, con tono arrogante e misogino, lupanar (o lupanarium ), ossia «tana dei lupi», delle donne-lupo, dal momento che la parola lupa (femmina del lupo), era spesso usata anche per le meretrici. Il termine lupanar aveva quindi un valore dispregiativo, che evidenziava la natura rapace, predatrice ed egoista della prostituta, rinnegandone, al tempo stesso, l'umanità . Nonostante questi pregiudizi, le case d'appuntamento a Roma e nell'Impero erano molto frequentate, e le prostitute non attiravano le attenzioni solo dei ceti medio-bassi. L'aristocrazia vedeva nel sesso a pagamento uno svago e una attività economica con un notevole flusso di denaro contante dai profitti alti e dai costi - anche quando le schiave e la casa dovevano essere acquistate - relativamente modesti. Così, le prostitute avevano libero accesso anche a terme e spettacoli, luoghi ed eventi destinati ad accogliere un gran numero di persone. La discriminazione sociale, tanto a cuore ai patrizi, era paradossalmente elusa in edifici d'uso pubblico e non in zone malfamate. Gli aristocratici erano evidentemente liberi di patrocinare gli incontri alle terme, ma rischiavano la loro reputazione se avessero messo piede in un bordello o popina . L'idea di reprimere o creare zone riservate per le prostitute - come fecero in seguito i cristiani - non sfiorava nemmeno il pensiero dei cittadini romani: per loro era sufficiente incaricare alcuni ufficiali di sorvegliare i bordelli e mantenere l'ordine pubblico. In realtà , questi soldati si limitavano a tutelare la distinzione di status tra prostitute e donne rispettabili e a riscuotere per lo stato tasse e canoni d'affitto delle proprietà pubbliche. D'altronde, per l'erario le meretrici erano una fonte di cospicui guadagni: erano molte e poco costose, il loro lavoro tassabile. Alcune di loro intraprendevano la professione spinte dalla prospettiva di un beneficio economico, la maggior parte erano costrette a farlo da schiavisti o lenoni aggressivi. Paragonata alle brulle alternative che l'economia romana offriva alle donne costrette a trovare lavoro, la prostituzione poteva essere una possibilità attraente, sebbene illusoria, dal momento che anche le prostitute «libere» erano sfruttate. Si trattava in ogni caso di una professione che offriva il miraggio di profitti elevati, come dimostrano le tariffe in uso in età imperiale: una prostituta poteva guadagnare da 0,25 a 16 assi per prestazione e forse più. Le prostitute di basso rango prendevano per ogni singolo incontro un sesto dello stipendio giornaliero di un
lavoratore maschio della tarda repubblica. Se paragoniamo le tariffe applicate in un bordello nella Norimberga del quindicesimo secolo - che Peter Schuster ritiene pari a tre ore di lavoro di un apprendista - a quelle della tarda Repubblica e del primo Impero, si deduce che il sesso a pagamento era poco costoso e accessibile a molti uomini poveri. Certo, esistevano anche meretrici d'alto livello. Ma alcune cifre leggendarie, riportate dalla letteratura, elargite a prostitute (o amanti) sembrano solo frutto della fantasia, come i centomila sesterzi (ricordiamo che un sesterzio era l'equivalente di quattro assi) che Marziale dichiarava d'aver sperperato per un'amante a Leda. Le tariffe indicate sembrano per la maggior parte plausibili. I riferimenti alla cosiddetta quadrantaria («ovvero la donna che richiede un quarto d'asse per una prestazione»)
sono forse puri insulti, mera diffamazione, dal momento che il «prezzo» di un quarto di asse è molto lontano dalla media attestata: di solito le prostitute più vecchie o meno attraenti richiedevano un asse. Due assi era invece la tariffa per le prostitute di basso livello. Prezzi bassi, modesti, alla portata di tutti. In fondo, due assi era il prezzo di una fetta di pane. Per avere un'idea del volume d'affari del mondo a luci rosse romano basta prendere in considerazione la situazione a Pompei. Le prostitute in attività - circa un centinaio - avevano
complessivamente una media di cinquecento rapporti ogni giorno e guadagnavano in totale almeno mille assi (250 sesterzi) giornalieri. Il profitto che lo stato ricavava dalle prostitute ai tempi di Caligola, invece, dovrebbe essere stato come minimo di 50 sesterzi al giorno, vale a dire 18.250 all'anno.
Si chiamano "zoccole" perchè anticamente si faceva indossar loro gli zoccoli in modo che il rumore che questo tipo di calzatura produceva sui ciottoli avvertisse chi era nei dintorni della presenza della professionista.
In questa accattivante rassegna delle variegate pratiche sessuali degli etruschi non poteva certo mancare il sesso di gruppo, lo scambio di coppie e la sodomia. Ed è qui che Teopompo dà il meglio di sè, con un finale pirotecnico e spettacolare. Dunque, a suo dire, i nostri cari etruschi in occasione di incontri conviviali, a sfondo familiare o di carattere sociale, dopo aver abbondantemente mangiato e soprattutto bevuto, al momento di coricarsi, si apprestano a ricevere indistintamente le cortigiane, le mogli o bellissimi giovani. Dopo aver ampiamente goduto di questi e di quelle, presi evidentemente da un moto di grande generosità , lasciano il posto a giovani vigorosi perchè possano soddisfarsi, restando, presumiamo, a guardare. Il tutto avviene in modo promiscuo o, più frequentemente, al riparo di semplici paraventi di rami intrecciati sui quali appendono i mantelli. Dopo questo bel quadro edificante Teopompo non puó peró fare a meno di sottolineare che gli etruschi preferiscono comunque le donne, ma "talvolta" si danno ai piaceri con giovani e ragazzi, che del resto in Etruria sono bellissimi perchè sono abituati al lusso e usano depilarsi il corpo.
Il primo commento che verrebbe da fare a queste affermazioni è "da quale pulpito...", in effetti Teopompo attribuisce agli etruschi "vizi" e costumi che sono tipicamente greci, e che i greci hanno, per così dire, "esportato" in Etruria. Il gioco è abbastanza scoperto: ogni volta che il nostro accenna ai ragazzi etruschi non riesce a trattenere la sua ammirazione e si profonde in lodi per la loro prestanza e bellezza. In verità gli etruschi, come vedremo nel prossimo capitolo, non approvavano l'omosessualità , ma non è escluso che essendo sensibili e aperti alle esperienze socio-culturali dei popoli con cui venivano a contatto possano averla accettata e marginalmente praticata. Di certo non entró mai nel costume.
E veniamo, infine, al capitolo prostituzione. Qui non è solo Teopompo a dire la sua, è un autentico coro di scrittori greci e latini che elevano lamenti ed alti lai per l'asserita immoralità delle donne etrusche, talvolta contrapposta alla virtù e alla castità delle donne greche e romane. Al punto che in epoca tarda la parola "etrusche" era quasi sinonimo di prostitute. Timeo, Platone, Plauto, Livio... per citare i più noti, un vero plotone. Nel richiamare quanto già detto sulle peculiarità della posizione della donna nella società etrusca, vogliamo solo aggiungere che certamente presso gli etruschi la prostituzione è esistita, come presso qualsiasi altro popolo, in qualsiasi altra epoca (non a caso è il mestiere più antico del mondo...). Che il fenomeno avesse le dimensioni paventate è da escludersi, non essendo ció supportato da alcun dato oggettivo. Sappiamo da fonti storiche, ed in parte anche archeologiche, che in Etruria la prostituzione veniva praticata nella sua forma più "nobile": la prostituzione sacra. Presso il tempio di Pyrgi le ierodule, vale a dire le prostitute sacre, offrivano se stesse ai pellegrini e ai viaggiatori per sostenere le spese del tempio ed incrementarne le ricchezze. Tali ricchezze dovevano essere evidentemente cospicue se suscitarono l'avidità di Dionigi I che nel 384 a.C., alla testa della flotta siracusana, riuscì a impadronirsene, nonostante il soccorso degli abitanti di Caere in difesa del loro porto. A ben vedere anche le "signore", impegnate nello svolgimento di raffinate pratiche erotiche con una pluralità di partner, raffigurate nella tomba dei Tori e in quella della Fustigazione nella necropoli di Tarquinia (cfr. il prossimo capitolo), dovevano senz'altro essere delle prostitute. Ma dobbiamo fermarci qui, altri dati di particolare rilievo non ne abbiamo. Un po' poco per fare dell'Etruria il luna park della prostituzione.
La cavigliera (il braccialetto per caviglie) veniva usata nel '700 dalle prostitute francesi con le mestruazioni, per segnalare che erano disponibili solo oralmente.
A Roma si affermò la figura della cortigiana cosiddetta "da candela" o da "lume", chiamata così perché abitava talvolta nel retrobottega dei venditori di candele o perché usava una candela per misurare il tempo di ogni cliente. Queste sono registrate nei libri degli stati delle anime delle parrocchie romane, come meretrici o curiales, donne povere che spesso si prostituivano, divenendo, per usare un termine di Delumeau[28], "delle cortigiane provvisorie" specialmente nei momenti più acuti di miseria, ad esempio durante le carestie: grave fu a Roma quella del 1590-92 che fece aumentare il numero di prostitute presenti in città . Ma quante erano le cortigiane a Roma? Nel XVI secolo ne vennero in gran numero, così come molti altri poveri, da varie parti d'Italia, come emerge dalle statistiche del Cerasoli[29]. Il Delumeau[30] calcola, sulla base dei dati forniti dai censimenti degli anni 1599-1605, che dovevano esserci 17 cortigiane ogni 1000 abitanti di sesso femminile. Umberto Gnoli[31], facendo riferimento al censimento del 1526, calcola che a Roma erano circa 4900 su 55035 abitanti censiti, circa il 10 per cento della popolazione. E' chiaro che questi dati sono relativi a periodi particolari e non possano corrispondere pienamente ad una situazione costante nel tempo, ma concretamente si può pensare che quest'ultimo dato, preso come valore medio, possa quantificare la loro presenza dalla metà del cinquecento in poi. I bandi e gli avvisi di Pio V mostrano una severità particolare anche nel reprimere la prostituzione, attraverso i metodi della segregazione prima e dell'espulsione dalla città dopo. Dal 1566 iniziarono le disposizioni contro la prostituzione. La vicenda delle cortigiane romane va di pari passo con la concezione negativa che si ha, come già detto, del povero lungo l'età moderna. La stessa meretrice rappresentava il nesso indissolubile, l'esempio vivente del connubio tra peccato e povertà e tra povertà e vizio[32]. Povere pericolose perché immorali. Povere colpevoli che minano l'aura sacra della città di Roma. In un avviso del 3 agosto 1566 Pio V sottolinea il carattere infame della presenza delle meretrici nella città eterna: "...l'infamia ... che dalle meretrici siano habitate le più belle strade di Roma santa, ove è sparso il sangue dei santi martiri, ove sono tante reliquie, tante devotioni, ove è la Santa Sede Apostolica et tanta religione: città , che per specchio del mondo tutta doverà esser monda da vicii et peccati a confusione d'infideli et eretici..". Tra le categorie marginali che popolano le carceri emergono anche le prostitute: gli arresti oscillavano, nel luglio del 1570, tra i dieci e i venti ogni giorno. Di loro si dice "frequenter carceribus mancipantur", poiché erano spesso all'origine di risse e discordie.[33] Nelle carceri le cortigiane assieme alle donne avevano un settore a parte. La pena che viene loro inflitta è spesso l'esilio da Roma ed il ritorno nella città di origine; a volte si incontra la fustigazione ed i tre tratti di corda (questa forma di punizione consisteva nel legare le mani del condannato dietro la schiena con una corda che, passata attraverso una carrucola, serviva a sollevarlo da terra; ogni tratto corrispondeva nel sollevare e lasciar cadere di colpo il reo). Accanto all'atteggiamento repressivo che accompagna le misure contro la prostituzione ve ne è un altro che considera questa attività una fonte di introiti per il governo, che vede le prostitute in funzione di interlocutrici all'interno del sistema legislativo in quanto contribuenti. Si è alla presenza di una serie di provvedimenti che obbligano le meretrici a contribuire al bene della città : in occasione della sistemazione di via Ripetta fu imposta loro una tassa; le meretrici erano inoltre tenute a pagare un tributo fisso di 10 carlini[34]. Con quest'ultimo provvedimento le stesse prostitute erano difese dalla legge contro gli abusi degli esattori, che in caso di frode nei loro confronti incorrevano in pene severe, come la galera ed i tre tratti di corda. In tal senso il governo si assumeva la tutela delle prostitute in quanto contribuenti da difendere contro i soprusi. In realtà la missione che Pio V si era proposto non era tanto l'abolizione della prostituzione, cosa oltretutto difficile viste le resistenze che i suoi provvedimenti già trovavano, bensì l'opera di moralizzazione della città che doveva far assurgere Roma a modello per tutta la cristianità , nello sforzo di rinnovamento che in quel periodo la Chiesa chiedeva innanzitutto a se stessa. Gli ostacoli che abbiamo accennato provenivano anche dagli interessi economici che legavano indissolubilmente le prostitute al resto della città . Infatti, quando Papa Ghisleri decise la cacciata di alcune prostitute da Roma nel 1566 e contemporaneamente pensò di rinchiudere le altre prima in Trastevere e successivamente nella zona dell'Ortaccio, molte furono le proteste che provenivano ad esempio dagli affittuari delle case che in questo modo videro crollare i prezzi, dai conservatori che videro diminuire il gettito della dogana e da molti commercianti che avendo dei crediti tra le meretrici li videro sfumare assieme alla possibilità di fare buoni affari con le medesime. Il papa che decise di proseguire l'atteggiamento di Pio V verso la prostituzione fu Sisto V. Le pene inflitte alle meretrici sotto Sisto V sono particolarmente dure poiché mirano anche alla loro umiliazione: spesso viene prevista, quando vengono colte in flagranza di reato o perché sono in contravvenzione ai bandi, la spoliazione che consiste nella confisca di tutte le cose che avevano con sé compreso lo stesso abito. Si assiste alla fine del cinquecento ad una svolta dell'atteggiamento della chiesa nei confronti della prostituzione: da una parte la legislazione si concentra sulla repressione e non solo sulla richiesta di contributi; dall'altra vengono colpiti anche coloro che si accompagnano alle prostitute. Gli uomini loro complici o che per stare con loro contravvengono alle disposizioni governative incorrono anche loro in pene, meno umilianti rispetto alle meretrici, ma pur sempre dure: a questi spetta la fustigazione o i tre tratti di corda. Questa situazione si confermerà agli inizi del secolo successivo. Nel XVII secolo i provvedimenti mirano a colpire sempre di più gli uomini trovati in loro compagnia. Tutto ciò sembra figlio di una strategia precisa che è quella di isolare le meretrici attenuando contestualmente nella città il reato. Ma la novità maggiore che si può cogliere agli inizi di questo secolo, e che si scorge anche nelle precedenti disposizioni di Sisto V, è che nei bandi viene evidenziato il reato dello stupro e dell'avviamento o istigazione alla prostituzione. Per il primo reato vengono stabilite pene diverse a seconda se si tratti di una donna onesta, nel qual caso il violentatore può incorrere nella pena capitale, o di una meretrice, ed allora il reo dovrà minimo pagare una multa o al massimo scontare sette anni di galera. Se c'è quindi una mutazione legislativa tendente a reprimere gli abusi anche verso le meretrici perseguendo i colpevoli, esiste pur sempre una forte discriminazione nei loro confronti dettata dal fatto che esse stesse inducono al peccato essendo la fonte dello stesso.
La risposta che in quegli anni viene data dal governo pontificio non si esaurisce solo nei provvedimenti legislativi; contestualmente nascono, sotto la spinta riformista, delle istituzioni che vogliono dare una risposta operativa al problema. Tra queste, nella metà del Cinquecento, troviamo il Conservatorio di S. Caterina della Rosa detta anche dei Funari che nasce, ispirato probabilmente anche da S. Ignazio da Loyola, con lo scopo di raccogliere le figlie delle cortigiane e le fanciulle povere in pericolo di prostituzione, per sottrarle al proprio destino. Ma nelle regole del Conservatorio emerge una scelta particolare che è utile sottolineare: non è la fanciulla povera o abbandonata che può trovare accoglienza in questa casa, tant'è che non venivano accettate né le brutte, né le storpie, né quelle malate. Questo perché pur essendo povere, proprio a causa della loro condizione fisica, non versavano in stato di pericolo, ossia non avevano molte possibilità di affermazione nel mondo del meretricio. Sempre agli inizi del cinquecento viene fondato il monastero di S. Maria Maddalena[35] che ha lo scopo di accogliere le prostitute pentite e tra queste non quelle anziane e disperate ma quelle giovani che in modo volontario, colte da crisi religiosa, scelgono di cambiare la loro vita e donarsi interamente al Signore. E' chiaro che questa scelta di campo che viene operata nella costituzione stessa del monastero taglia fuori quell'alto numero di meretrici che in vecchiaia riscopriranno la propria fede, in quel periodo della vita quando le malattie, la miseria e le difficoltà le accomuna un po' tutte, facendo divenire il convento spesso l'unica reale alternativa; ma tale scelta è figlia della convinzione che il pentimento, quando uno è vecchio, non è genuino, reale, vero perché promana da uno stato di bisogno. Per la maggior parte povere tra i poveri queste cortigiane "da candela" o meretrici sono un'espressione, fra le tante, di quella variegata realtà che è il pauperismo nel cinquecento; esse, diversamente dagli altri poveri, hanno l'aggravante di essere peccatrici per la vita immorale che conducono e per il fatto stesso di essere donne, la cui assenza, però, così come ci testimonia un avviso sulla polizia dei costumi del 19 luglio 1567 che informa della cacciata di 60 meretrici dalla città , suscita il malcontento generale
La Grande prostituta.Anticamente, il sesso era considerato una vera e propria liturgia, che permetteva ad entrambi i partner di trascendere i propri sensi comuni per entrare in una nuova dimensione spirituale.Essenzialmente si trattava di un rito di passaggio e di trasformazione interiore: di qui la ierodula, la serva-amante, veniva chiamata pertanto «Grande Prostituta» (assumendo l'epiteto della dea al cui servizio era addetta), ed eseguiva ogni volta un particolare atto sessuale di coitus reservatus, un intenso e prolungato orgasmo di tutto il corpo senza emissione di fluido seminale, il quale avrebbe condotto l'uomo all'horasis, l'illuminazione spirituale.L'atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo per fare esperienza del divino e il corpo della sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in rapporto con gli deiPer i pagani, infatti, le donne erano naturalmente in contatto con il divino, mentre l'uomo, da solo, non poteva raggiungere questo obiettivo.L'atto sessuale assolveva così per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o ravvivatori di presenze divine, dall'altro aveva una funzione strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era lo strumento per la partecipazione dell'uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.Alle ierodule era solito attribuirsi gli epiteti di «Vergine Santa» o «Grande Prostituta»,titoli che in ogni caso nel paganesimo matriarcale si riferivano comunemente ad una sacra sacerdotessa depositaria dell'oscuro segreto femminile relativo alla gnosi magica del divino, essendo costei l'incarnazione terrena della Dea sotto la cui benedizione amministrava nei templi il culto religiosoTra le incombenze liturgiche delle Sante Vergini o ierodule, le serve sacre del tempio, c'erano i doveri di somministrare la grazia celeste della Dea, di far guarire dalle malattie attraverso lo sputo medicinale e le secrezioni della vagina] di profetizzare di eseguire le sacre danze in onore della divinità nonché di intonare le lamentazioni funebri e di diventare «Spose» del dio-sacerdote nei riti prestabiliti del matrimonio sacro.
L'appellativo Vergine Santa non stava però ad indicare verginità fisica in senso stretto, ma piuttosto acquisiva il significato di «ragazza nubile»: pertanto le ierodule erano sia vergini in quanto non vincolate da alcun legame matrimoniale, e sia sante perché manifestavano pubblicamente la funzione sacerdotale, essendo la rappresentazione terrena delle varie dee nei cui confronti amministravano il culto religioso, basato sulla sessualità sacra. Sicché, qualora fosse stato generato un figlio, per logica a costui si conferiva un epiteto che allora non poteva dar luogo ad equivoci, ove nel caso particolare dei Semiti suonava come bathur e per i Greci parthenioi, cioè il nato da vergine.(Ripastreghe)
Fin dall'inizio del 1840 le più importanti agenzie d'informazione, uomini di chiesa e donne nubili divennero sempre più preoccupati sia dalla masturbazione che dalla prostituzione, chiamata anche Il Grande Male Sociale. Benché le stime e il numero delle prostitute a Londra intorno alla metà dell'800 variasse notevolmente (William Acton nel suo studio miliare "Prostituzione", riportò che la polizia stimava in 8.600 il numero delle prostitute a Londra nel 1857), è sufficiente per affermare che il numero delle donne che lavoravano sulla strada divenne sempre più difficile da ignorare. Il Censimento fatto nel 1851 nel Regno Unito rese evidente lo squilibrio demografico con un 4% in più di donne rispetto agli uomini. A quel punto la questione della prostituzione da problema etico-religioso divenne problema socio-economico. Il censimento del 1851 mostrò come la popolazione della Gran Bretagna fosse di circa 18 milioni di abitanti: ciò significava che circa 750.000 donne sarebbero rimaste nubili semplicemente perché non c'erano abbastanza uomini.
Già dalla metà del 700 nacque qualche ospizio che si occupava di riabilitare le prostitute, ma dal 1848 al 1870 il numero di questi ospizi che lavoravano per riscattare queste donne perdute, riqualificarle e introdurle in una società rispettabile per farle lavorare come domestiche, ebbe una grande esplosione. Il tema della prostituzione e delle donne perdute (un termine di comodo usato per descrivere ogni donna che avesse rapporti sessuali al di fuori del matrimonio) divenne l'argomento principale di ogni discussione letteraria e politica medio-vittoriana, vedendolo come problema sociale e discutendo su cosa si doveva fare di loro.
Nel 1864 il Parlamento approvò la prima legge sulle Malattie Contagiose: una serie di misure volte a ridurre la diffusione delle malattie a trasmissione sessuale nelle forze armate, applicata a un numero di porti e città. Alle forze di polizia sono stati concessi i poteri per identificare e registrare prostitute, costrette a subire ispezioni corporali obbligatorie. Le donne che rifiutavano di sottoporsi volontariamente potevano essere arrestate e portate davanti a un magistrato.
Poiché la decisione su chi fosse una prostituta era lasciata al giudizio di ufficiali di polizia, molte più donne di coloro che lo erano effettivamente furono esaminate. Dopo due ulteriori emendamenti, nel 1866 e nel 1869, l'ingiusta legge fu finalmente soppressa nel 1886. Una pioniera di questa lotta fu Josephine Butler, che contribuì alla fondazione di una società che lavorasse per abrogare le leggi di questo tipo.
Josephine Butler, 1828-1906, un leader femminista, attivista instancabile e scrittrice e ha condotto la crociata contro la legge sulle Malattie Contagiose (oltre ad altre, come ad esempio quella contro la prostituzione minorile a Londra). La campagna ha avuto successo: è stata sospesa nel 1883 ed abrogata nel 1886. La legge sul divorzio introdotta nel 1857 consentì ad ogni uomo di divorziare dalla propria moglie per adulterio, ma viceversa una donna poteva divorziare dal marito adultero solo se l'adulterio si associava alla crudeltà. L'anonimato della città portò ad un notevole aumento della prostituzione e delle relazioni sessuali illegittime.