C’è
una convinzione diffusa che, se qualcuno si avvicina al mondo del BDSM, debba
necessariamente accettarlo nella sua totalità. Come se fosse un pacchetto
unico, da prendere o lasciare, senza possibilità di scelta. Ma la realtà è
molto diversa. Il
BDSM non è una religione con dogmi prestabiliti, né un club esclusivo con
regole rigide. È un insieme di dinamiche, di pratiche, di modi di vivere il
piacere e il potere, e ognuno ha il diritto di esplorarlo secondo la propria
sensibilità. NON E’ TUTTO O NIENTE. Ci sono persone che si definiscono parte del
mondo BDSM perché amano il gioco mentale, la sottomissione psicologica,
l’esplorazione dei ruoli di potere. Ma non vogliono il dolore, non trovano
piacere nella punizione fisica o nella disciplina rigida. E questo non le rende
meno autentiche. Ci sono anche i feticisti, che spesso vengono erroneamente
assimilati al BDSM. Prendiamo, ad esempio, chi ha un feticismo per i piedi
femminili. Molti uomini adorano il piede della donna, l’idea di servirla, di
essere ai suoi piedi nel senso più letterale. Ma questo non significa che amino
la dominazione totale, né che desiderino il dolore, la costrizione o la perdita
di controllo. Amano l’estetica, la devozione, il contatto con qualcosa che per
loro è fonte di desiderio. E questo è sufficiente. Dire “appartengo a questo
mondo” non significa sottoscrivere un contratto in cui ci si impegna a provare
tutto. Significa trovare un modo di esprimere se stessi. Ci sono persone che amano
il bondage ma non la sottomissione. Altri che giocano con il potere senza il
bisogno di attrezzi o scenografie elaborate. Alcuni vivono la dominazione come
un’esperienza mentale, altri la vedono come qualcosa di più pratico e concreto.
Non si è meno autentici perché si sceglie solo una parte del quadro. Anzi, il
vero problema è chi si avvicina a questo mondo credendo di dover accettare
qualsiasi cosa, senza ascoltarsi davvero. Il BDSM non è una gabbia, non è una
religione, e non è una gerarchia. È un’esperienza che ognuno costruisce a modo
proprio. E, alla fine, la domanda giusta non è “sono parte di questo mondo?”, ma
piuttosto “cosa di questo mondo mi risuona dentro? Perché in fondo, ciò che
conta non è etichettarsi, ma trovare il proprio spazio.
Lady Altea