Per chi lo vive, il subspace è un viaggio verso l’interno, un
luogo in cui tutto si dissolve: ansie, pensieri, aspettative. Rimane solo il
momento presente, un presente che sembra sospeso, quasi irreale.Il mio schiavo mi ha parlato spesso di questo stato,
e ogni volta il racconto cambia nelle sfumature, ma non nell’essenza. Un
giorno, un altro schiavo, mi ha detto con un filo di voce: “È come se smettessi
di esistere come persona, ma non in modo negativo. Mi sento libero di essere
solo un corpo, una sensazione, qualcosa che appartiene a te. Non devo fare
nulla, non devo decidere nulla. Mi lascio galleggiare in un mondo che crei tu.”
E un altro, con gli occhi ancora persi nell’intensità della
sessione, ha sussurrato: “Sento che il mio respiro dipende dal tuo. È come
essere sott’acqua, ma è la pressione che mi fa sentire vivo. È la tua presenza
che mi tiene al sicuro.”Il subspace non è debolezza, né semplice abbandono. È
un dono. È la capacità di fidarsi a tal punto da lasciare il controllo a
qualcun altro, sapendo che quella persona non lo userà mai per ferirti, ma per
portarti dove da solo non riusciresti ad andare.
Il Topspace, è per me, il cuore pulsante di ogni sessione.È
difficile da spiegare, ma ogni volta che entro in quello stato, è come se
qualcosa in me si accendesse. Non c’è spazio per i dubbi o le distrazioni,
tutto si concentra sull’altro, sul momento. Ogni respiro che sento, ogni
tremore sotto le mie mani, diventa parte di una sinfonia che sto dirigendo.Non
è potere fine a sé stesso, non è dominio sterile. È responsabilità, è cura.
Sentire che qualcuno si affida a me con tutto sé stesso mi dà una forza che non
trovo altrove. Ma non è un controllo rigido: è un fluire continuo, come se
fossi in dialogo con l’altra persona, anche quando nessuno di noi due parla.Mi
piace osservare i dettagli: il modo in cui gli occhi dello schiavo si
abbassano, il ritmo del suo respiro che cambia, la tensione che si scioglie a
ogni comando. È lì che trovo la mia forza, nel vedere che ogni gesto che faccio
lo guida verso qualcosa di nuovo, qualcosa che forse non sapeva nemmeno di
cercare.E poi, c’è quel momento. Lo riconosco sempre. Lo sguardo che diventa
diverso, più profondo. È lì che capisco di essere riuscita a condurlo dove
voleva, dove aveva bisogno di andare, anche se non lo sapeva. E in quel
momento, io stessa mi sento completa.Quando la sessione si avvia alla
conclusione, sia il subspace che il topspace iniziano a dissolversi, ma non di
colpo. È un passaggio lento, come il calare di un sipario. Ci troviamo di nuovo
semplicemente noi, senza ruoli, senza barriere.Non sempre mi lascio andare a
gesti fisici. Gli abbracci, lo ammetto, non sono il mio modo naturale di
esprimere affetto. Non perché non ne sia capace, ma perché ho sempre avuto una
sorta di barriera emotiva nei confronti del contatto fisico troppo spontaneo.
Non è freddezza, non sono un robot privo di emozioni. È semplicemente un
aspetto di me, un limite che riconosco e che a volte scelgo di superare. Ma
quello che offro in quei momenti non è meno autentico. Un sorriso, uno scambio
di parole leggere, un piccolo gesto. Sono modi per dire: Sono qui, ti vedo, ti
riconosco. Il subspace e il topspace non si esauriscono nella sessione, lasciano
qualcosa che rimane, che entrambi portiamo con noi. Per lo schiavo, può essere
un senso di leggerezza o una nuova consapevolezza. Per me è la certezza di aver
dato qualcosa di significativo, ma anche di aver ricevuto. Ogni gesto, ogni
emozione condivisa diventa parte di me, mi nutre mi da forza. Non sono solo una
guida, sono parte di questo viaggio, e ne traggo a mia volta un potere che
nasce dall’intensità di una connessione autentica
Non è solo un gioco di ruoli. È un viaggio, un incontro con
l’altro e con se stessi. E per quanto intenso, non è mai pesante. Perché, alla
fine, tutto ciò che resta è la verità. E la verità, per quanto complessa, è
sempre liberatoria.
Lady Altea