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venerdì 3 gennaio 2025

Hair Queen: dove la cura diventa arte

 


Tra le colline di Pettinengo, esiste un luogo capace di andare oltre la bellezza estetica, è un’esperienza. Hair Queen, la barberia guidata dalla maestria e dalla passione di Alessia , è uno spazio che invita a rallentare, a scaricare le tensioni accumulate e a ritrovare quel senso di equilibrio che spesso perdiamo nella frenesia quotidiana. Appena varcata la soglia, si percepisce immediatamente che questo non è un salone qualsiasi. Alessia, con anni di esperienza e perfezionamento, ha trasformato Hair Queen in un luogo dove ogni dettaglio parla di dedizione, passione e cura. Ogni gesto, ogni prodotto, ogni angolo del salone è pensato per accoglierti e rigenerarti, tutto rispecchia l idea che la bellezza e il benessere meritino tempo e attenzione


Un ambiente che accoglie e racconta


Hair Queen è molto più di un salone: è un viaggio sensoriale. Gli oggetti di antiquariato – rasoi, specchi e strumenti di un tempo – non sono semplici decorazioni, ma raccontano una storia di tradizione e valore. Alessia ha saputo unire questa eredità a uno stile moderno e accogliente, creando un ambiente che respira calore e professionalità. Entrare da Hair Queen significa lasciare fuori tutto ciò che è negativo: rabbia, caos, tensioni. È un approdo sicuro, un luogo dove il mondo si ferma e tu diventi il centro dell’attenzione. Alessia ha iniziato il suo percorso nel 1994, apprendendo l’arte della rasatura e del taglio presso una delle barberie più antiche del biellese. Negli anni ha affinato le sue tecniche, perfezionando ogni dettaglio per offrire un’esperienza che va ben oltre l’estetica. Ogni gesto che compie è frutto di anni di dedizione e miglioramento. Nel 2017, Alessia ha dato vita a Hair Queen, un luogo che incarna la sua visione: la cura di sé non è solo un atto estetico, ma un momento per rigenerare corpo e mente.





Un’esperienza di totale abbandono


Durante la mia visita, Alessia mi ha guidata in un’esperienza che andava ben oltre il taglio di capelli. Ogni gesto era preciso, mai frettoloso, pensato per trasmettere calma e benessere. Mentre chiudevo gli occhi, sentivo il profumo delicato dei prodotti e il tocco esperto delle sue mani. Era come se tutto ciò che era fuori dal salone smettesse di esistere, lasciando spazio a un momento di abbandono totale.

E poi arriva la trasformazione. Aprire gli occhi e vedersi allo specchio non significa solo notare un cambiamento estetico. È un piacere più profondo: sentirsi più leggeri, rigenerati, pronti a ripartire.


Ester: il braccio destro di Alessia 


Accanto ad Alessia c’è Ester, la sua assistente e il suo braccio destro, che con gentilezza e competenza completa questa esperienza unica. Anche un gesto semplice (che potrebbe sembrare semplice a prima vista, richiede in realtà tecnica e sensibilità per essere eseguito nel modo giusto) come il lavaggio dei capelli, sotto le sue mani esperte, diventa una coccola che trasmette calore e attenzione. Insieme, Alessia ed Ester formano una squadra che accoglie ogni cliente con un mix perfetto di professionalità e umanità.




Un rifugio per chi cerca una pausa

Per me, abituata a essere sempre in controllo, Hair Queen è stato un momento di stacco vero. Non perché ci sia qualcosa di magico, ma perché Alessia e Ester offrono quello che abbiamo dimenticato: il tempo di fermarci. Una pausa che ti permette di scaricare le tensioni e di ricaricare le energie. I problemi, ovviamente, restano. Ma li affronti con una carica diversa, con uno spirito rinnovato. Esci di lì rigenerato, pronto ad affrontare ciò che ti aspetta con una forza nuova.


La ritualità e il feticismo dei capelli

Hair Queen non è solo un luogo dove si curano i capelli o si perfeziona un look. È un luogo che richiama una ritualità che molti di noi hanno dimenticato. Per chi vive il feticismo dei capelli, questa esperienza si intreccia con memorie profonde: il rumore delle forbici che tagliano, il profumo di un balsamo, il suono dell’acqua che scorre e il calore di un asciugamano posato sul viso.Questi dettagli non sono semplici componenti di un servizio, ma elementi di un rituale che coinvolge i sensi e risveglia emozioni. Fermarsi per vivere un’esperienza come questa non è un lusso, ma un atto necessario per rigenerarsi e ricaricarsi.


Un invito a rallentare

E allora, perché non permettersi di rallentare, di vivere queste coccole come una pausa preziosa? Non è solo un taglio, una rasatura o un trattamento: è un momento per fermarsi, per ascoltare, per respirare. Hair Queen ci ricorda che, a volte, la bellezza si trova nella semplicità dei gesti e nella profondità delle emozioni che essi regalano.

Uscendo da lì, mi sono sentita diversa, più leggera. Per una volta, avevo lasciato fuori le tensioni e mi sentivo pronta a ripartire, con una forza che solo un’esperienza così autentica può regalare.


https://hairqueen.it/


giovedì 19 dicembre 2024

La vigilessa

 Questo racconto è rivolto a un pubblico adulto e descrive situazioni legate al mondo BDSM, con particolare attenzione al gioco tra dominazione e sottomissione. Le pratiche descritte, come il bondage o la rasatura, richiedono una conoscenza approfondita e una grande attenzione. E’ essenziale che chiunque voglia esplorare questi mondi lo faccia con consapevolezza, rispetto reciproco e in pieno accordo tra le parti. Un gioco che può essere fonte di piacere e di connessione è profonda, ma se condotto senza la giusta preparazione può trasformarsi in un’esperienza rischiosa o addirittura pericolosa. Ricordate: il BDSM è prima di tutto consapevolezza, rispetto, sicurezza.

La vigilessa: un taglio alle maschere



Sono quasi le 19, un ultimo appuntamento e chiudo il negozio. Sono esausto: è stata una giornata lunga, ma fortunatamente tra un po’ arriverà Irene e mi rilasserò un po’, lei è una cara amica, le taglio i capelli da almeno dieci anni. Ha un taglio iconico, cortissimo, rasato ai lati e più lungo sopra. Questo look androgino è sempre piaciuto.                                  Con Irene poi, condividiamo gusti e passioni particolari: entrambi pratichiamo BDSM e prediligiamo le donne. Quante volte abbiamo giocato insieme, condividendo la stessa schiavetta e divertendoci come pazzi! Amo la sua energia.

Le assistenti stanno finendo di riordinare, Mirella è l’ultima ad uscire, resterà solo quei dieci minuti necessari a preparare il lavaggio. Puntuale come un orologio, Irene entra con passo sicuro. Ci salutiamo con un bacio sulle guance. Sento subito un’atmosfera frizzante: in lei c’è qualcosa di diverso, di elettrico. Mentre si accomoda al lavatesta noto il suo sorriso malizioso.” Non vedevo l’ora di venire” sussurra. Ha uno sguardo vivido, penetrante, carico di una strana euforia. E io sono curioso. Quando Mirella va via, restiamo finalmente soli. Irene si sistema sulla poltrona del taglio, la testa rilassata, pronta a sentire la vibrazione familiare della macchinetta scorrere sulla testa, per lei, il ronzio costante della macchinetta è come un rumore bianco, capace di calmarla e trasportarla in uno stato di rilassamento profondo. Alcuni clienti mi dicono che il suono della macchinetta evoca ricordi d’infanzia o momenti di cura personale, intensificando il piacere dell’esperienza.

“Devo raccontarti una cosa incredibile” dice, la voce lieve ma vibrante. “Mi è successa la settimana scorsa, ancora stento a crederci…” Sorrido: “C’è di mezzo una donna?” Irene fa un cenno divertito: “Oh, una donna? No, no. Una super donna.” Il suo tono si fa più caldo. “Ma prima fammi il taglio, poi ti racconto. Sono sicura che quando saprai i dettagli ti ecciterai. Per non rovinarmi la pettinatura, meglio procedere adesso. Poi andiamo al pub qui vicino, ho fame.” Annuisco: “Ok, anche io ho fame.” E attacco con la macchinetta.

Irene chiude gli occhi, godendosi la vibrazione sulla pelle e il ronzio rilassante che la avvolge. Mentre si rilassa penso a quanti segreti abbiamo condiviso, quante scene vissute. “Mi domando cosa avrà da raccontarmi questa volta. Irene non è certo una che si trattiene: ogni volta riesce a sorprendermi, e non vedo l’ora di scoprire che cosa è successo.”

Finito il taglio, chiudo il negozio e ci dirigiamo al pub. Non appena ci sediamo con la birra davanti, Irene si accende una sigaretta. Non sta più nella pelle, e io non vedo l’ora di scoprire questa storia. “mercoledì scorso” inizia, “c’erano le targhe alterne. Lo sai, io sono vigilessa e controllavo le auto con targa dispari in piazza San Carlo. Verso le 10, vedo una Mercedes con targa dispari sfrecciare. La fermo. Al volante c’è una donna bellissima: capelli rossi, occhi verdi, un’eleganza naturale. Lei mi fissa, sorride di circostanza e si scusa dicendo che conosceva la regola, ma doveva per forza venire in centro, era in ritardo per un lavoro urgentissimo.” Mentre Irene parla, immagino la scena. Irene in divisa, austera, la donna rossa nel suo tailleur. Una tensione fatta di sguardi. Irene continua: “Mi chiede di essere gentile, promette che avrebbe mandato un commesso a pagare la multa. Quel suo tono di superiorità, quell’aria da ‘io sono importante, fammi passare’, mi ha urtata. Così, per metterla al suo posto, le ho fatto accostare e ho iniziato la procedura: patente, libretto… Lei ha provato a protestare: “Ma sono di fretta!” E io: “Signora, la legge è uguale per tutti. Ho assunto il mio tono più fermo, da vera dominatrice.”

A questo punto, Irene abbassa un po’ la voce, come se volesse gustarsi ogni parola: “La vedo diventare rossa in viso. All’inizio penso sia rabbia. Ma poi sento qualcosa di diverso nella sua voce, un tremolio dolce, quasi arrendevole. In quel momento, dentro di me si accende la padrona. Mi diverto a elencare le sue mancanze, a farle sentire la mia autorità. Lei tace, testa bassa, in silenzio per dieci interminabili minuti. Quando le ho consegnato il verbale, ho aggiunto un ultimo rimprovero: “La prossima volta non sarò così gentile” Lei è salita in macchina a testa china, mormorando un flebile “Mi scusi”.

La mia mente è già in subbuglio. Immagino quella donna bellissima, abituata a comandare, ora muta, in imbarazzo. Irene la descrive con un accenno di bramosia nelle parole. “Dopo il turno” prosegue Irene, “alle 13 sono andata al bar a mangiare un panino, e chi trovo? Lei, circondata da uomini in giacca e cravatta. Appena mi vede, si avvicina di nuovo e si scusa, questa volta con più calma. Io, sempre rigida, rispondo: “Un po’ di educazione non guasta.” Lei, invece di irritarsi, quasi si confida: “Vorrei che i miei collaboratori avessero la sua grinta, ma sono degli smidollati, dei leccapiedi. A volte vorrei qualcuno che mi facesse sentire il polso duro!”                                                                   Ho intuito che non stava solo cercando comprensione, ma qualcosa di più profondo. Credimi, le si leggeva negli occhi. È lei a propormi un incontro: “Posso offrirle un drink per scusarmi? “Io le dico: “Smetto alle 16, ci vediamo qui.” Lei sorride, soddisfatta.”

Penso a Irene che, dopo queste parole, avrà diretto il traffico sognando quello che sarebbe successo. La guardo, e vedo che anche ora, raccontando, è eccitata. Ha le guance lievemente arrossate. Io stesso sento una vibrazione salire lungo la schiena. “Alle 16 entro nel bar. Lei mi aspetta. Mi siedo, mi spiega: “Non mi fraintenda, non invito mai vigilesse al bar, ma stamattina, quando mi ha trattata così, mi è successa una cosa strana:” Sembrava imbarazzata. Ha continuato: “Sono divorziata da sei anni. Da allora mi sento attratta dalle donne, e mi piacciono dure, cattive. Nel lavoro comando, ma nel privato voglio essere sottomessa. Adoro le divise… le donne con capelli corti, vagamente militari come lei. “Lo so, magari mi prenderà per pazza, ma ho sentito il bisogno di dirle queste cose. Non so perché, ma con lei mi sento al sicuro.”

Non credevo alle mie orecchie: una donna manager, sottomessa. Alle 17.30 eravamo già a casa mia. Lei, nuda, legata al letto. Dopo un’ora di mio trattamento fatto di baci, frusta, cera calda, mollette e vibratori, la sua voce rotta dal piacere mi ha detto le parole che adoro: “Fammi quello che vuoi, ti amo!’ A quel punto le ho chiesto in tono deciso ma carico di curiosità: “Ti faresti rasare tutta?” per un attimo ho visto il suo corpo irrigidirsi, come se cercasse il coraggio per rispondere. Tremante, con voce roca, ha sussurrato: “Sì, anche i capelli.”

L’ho slegata, l’ho portata in bagno. Era ancora visibilmente eccitata, il suo corpo tremava leggermente. ” Spogliati completamente,” ho ordinato, e lei ha obbedito senza esitazioni, rimanendo nuda davanti a me. Ho preso una corda e le ho bloccato le braccia allo schienale della sedia, poi le ho immobilizzato le caviglie. “Da buona schiava”, ho notato con un sorriso compiaciuto mentre prendevo un fallo di gomma e lo infilavo lentamente nella sua vagina, osservando ogni suo fremito. La sua pelle sembrava reagire a ogni gesto, come se fosse ipersensibile al tocco. Poi ho stretto il suo seno con una corda, legandola in modo da far gonfiare i seni rendendoli ancora più sensibili. La pelle intorno ai capezzoli era tesa, e il colore divenne di un rosso intenso. Quando ho terminato, l’ho posizionata davanti ad uno specchio:” Guardati! “ho detto con voce fredda ma compiaciuta.

Si osservava, il corpo legato e il fallo ancora dentro di lei. I suoi occhi si riempirono di eccitazione e un fremito di piacere la attraversò. Ho preso un pettine e ho iniziato a passarlo lentamente tra i suoi capelli rossi, come a volerle far sentire il contrasto tra la dolcezza di quel gesto e ciò che stava per accadere

Mi sono posizionata dietro di lei, prendendo un respiro profondo per stabilizzare le mani. Le dita si sono chiuse saldamente intorno alla macchinetta, ma il cuore mi batteva forte, quasi troppo per mantenere la calma che volevo trasmettere. Ho alzato la macchinetta, il ronzio pulsava nell’aria, e con voce ferma le ho ordinato: “Non muoverti!”

L’ho detto con autorità, senza esitazioni, ma dentro di me c’era un misto di eccitazione e controllo. Lei ha respirato a fondo, deglutendo lentamente, il suono quasi impercettibile ma evidente nella tensione del suo collo. I suoi occhi, chiusi, sembravano cercare un punto di equilibrio tra paura e resa. Poi ha annuito, lentamente, con un movimento appena accennato, come se ogni millimetro fosse un passo verso un abisso che desiderava esplorare.

Avvicinai la macchinetta alla sua testa. Il primo contatto fu lieve, quasi esitante, ma il ronzio si amplificò mentre la guidavo lungo la sua fronte, tracciando una linea netta tra la massa di capelli e la pelle liscia sottostante. Il contrasto era affascinante, quasi ipnotico. Ogni passata lasciava un sentiero di pelle nuda che sembrava reagire, increspandosi leggermente sotto il tocco vibrante della macchinetta. Lei tremava appena, il suo corpo rispondeva con piccoli fremiti, ma rimaneva immobile e obbediente. I capelli scivolavano giù a ciocche spesse, atterrando silenziosamente sul pavimento come foglie che si staccano da un albero in autunno. Ogni movimento era lento, calcolato.

Il ronzio della macchinetta cambiava lievemente intonazione a seconda della densità dei capelli che attraversava, creando un ritmo che si mescolava ai suoi respiri, profondi, quasi sincroni. Mi fermai un istante, osservando ciò che avevo creato: avevo lasciato intenzionalmente una corolla di capelli rossi intorno alla sua testa, come quella di un clown. Mi chinai accanto a lei, fissando il suo riflesso nello specchio. “Guardati,” le sussurrai con tono tagliente. “Pensa se ti vedessero i tuoi collaboratori, quelli che tratti male. Che cosa direbbero? Tu, che comandi tutti con il pugno di ferro, ora ridotta così. Mi piacerebbe davvero che fossero qui” Le sue guance si tinsero di rosso mentre un gemito soffocato sfuggiva dalle sue labbra sigillate dal cerotto. La sua umiliazione era evidente, ma lo era anche il piacere che provava. Non attesi troppo. Ho continuato, passando di nuovo la macchinetta sulla testa, cancellando ogni traccia di quei capelli clowneschi fino a che non rimasero solo sottili ombre di capelli sulla pelle. 

“Stai bene?” le ho chiesto, interrompendo un momento la rasatura. Lei ha aperto un occhio, lo sguardo vitreo, e ha sussurrato: “Sì, padrona. Mi sento… libera*.”

Quelle parole mi hanno fatto sorridere, le ho infilato le sue mutande in bocca e sigillato le labbra con un cerotto adesivo. e ho continuato a rasare, passando con cura sulla sommità del capo e poi sui lati, seguendo la forma della sua testa. Ogni curva, ogni movimento sembrava parte di un rito, e io ero completamente immersa in quella danza di controllo e trasformazione. Quando ho terminato con la macchinetta, c’era solo una leggera ombra di capelli sulla testa, come un ricordo ormai sbiadito. Ho spento il dispositivo e l’ho appoggiato sul tavolo accanto. Poi ho preso la crema da barba e l’ho applicata con dolcezza. La schiuma bianca creava un contrasto ancora più netto con la sua pelle arrossata. Ogni passata del rasoio era lenta, deliberata, e rivelava una pelle liscia e lucida, perfetta nella sua semplicità. Ogni tanto i suoi fremiti erano più evidenti, piccoli gemiti soffocati sfuggivano dalla sua bocca, e il suo respiro si faceva più profondo.

Ora le raso anche le sopracciglia. Non oppone nessuna resistenza, ormai succube di ogni mio desiderio. Le spalmo la schiuma da barba anche sul viso. Prendo il bilama e lo passo ovunque, anche sul viso. Rado tutto. Passo e ripasso il rasoio. La pelle si arrossisce leggermente. “Voglio vederti domani, se la tua arroganza sarà ancora la tua arma preferita.”

Le ho passato un panno caldo sulla testa, rimuovendo ogni residuo di schiuma da barba, poi ho versato un po’ di olio lenitivo sulle mani e ho iniziato a massaggiare il suo cuoio capelluto. La pelle arrossata reagiva al mio tocco, lucida e perfettamente liscia, mentre lei emetteva piccoli gemiti, quasi impercettibili, che rivelavano la sua totale resa. “Guardati” le ho ordinato, girandola verso lo specchio. “sei come voglio che tu sia: perfetta, umiliata e completamente mia.” I suoi occhi si sono riempiti di lacrime mentre osservava il suo riflesso: la testa rasata che brillava sotto la luce, il viso trasformato, segnato da un’espressione che mescolava vergogna ed estasi. Le sono passata accanto, piegandomi verso il suo orecchio, e le ho sussurrato con voce gelida:” Hai finito di venire *salopa? O vuoi continuare a dimostrarmi quanto sei una maiala?” Lei ha abbassato lo sguardo, un fremito attraversava il suo corpo, ancora legato alla sedia. Non ha risposto, ma il rossore che le tingeva le guance era eloquente.

Lì ho liberata con calma, slegando prima le braccia e poi le caviglie, osservandola mentre restava immobile, troppo scossa per muoversi da sola. Quando ho tolto il cerotto dalle sue labbra, il suo respiro era lento, rauco, quasi spezzato. “Padrona, la prego,” ha sussurrato con voce roca e supplicante, posso leccarla tutta? “Non aspettavo altro. Senza risponderle, mi sono seduta su una sedia accanto a lei, proprio tra i capelli che avevo appena tagliato, sparsi come un tappeto sul pavimento. Ho afferrato la sua testa rasata con entrambe le mani, tirandola dolcemente ma con fermezza verso di me. Il contatto della sua pelle liscia contro le mie cosce era indescrivibile, un misto di freddo e calore, di forza e vulnerabilità. L’ho guardata con gesti sicuri, posizionandola esattamente dove volevo.” Adesso dimostrami quanto sei devota, “le ho detto, spingendo la sua testa ancora più in profondità tra le mie gambe. Il contrasto tra la sensazione della sua testa rasata e il mio corpo era così intenso che per un attimo ho chiuso gli occhi, lasciandomi trasportare.

Ogni movimento che faceva era lento, misurato quasi reverenziale. La sua lingua seguiva percorsi che sembravano studiati, ma che in realtà erano pura istintività.

La pressione della sua testa contro di me aumentava, e io affondavo le dita nella sua pelle liscia, accarezzandola, godendo del controllo assoluto che avevo su di lei.

Quando finalmente mi sono lasciata andare, esplodendo in un potente orgasmo, ho sollevato leggermente la sua testa, costringendola a fermarsi. le ho guardato il viso, segnato da sudore e desiderio, i suoi occhi pieni di una devozione che non lasciava spazio ai dubbi. “Brava, salopa,” le ho detto con un sorriso soddisfatto, “ora sai qual è il tuo posto!”

Mi sono alzata, soddisfatta, lasciandola inginocchiata, ancora tremante per tutto ciò che aveva vissuto. Mi sono girata verso lo specchio. Osservando il mio lavoro, e ho sorriso. Lei con voce roca, ha sussurrato un ultimo:” grazie Padrona”.

Io invece, sono rimasto con la forchetta a mezz’aria, fissandola incredulo. Il suo racconto mi aveva totalmente catturato, al punto da farmi dimenticare la fame e persino il tempo, Irene sorrideva soddisfatta, accendendosi un’altra sigaretta. “ azz che storia”, le ho detto, cercando di mascherare l ‘imbarazzo dietro un sorriso malizioso. Lei ha riso, divertita dalla mia reazione, e ha fatto un gesto teatrale con la mano. “Aspetta Vitt, non è finita qui, ho una sorpresa.”

Prima che potessi rispondere, la porta del pub si è aperta, e una donna alta, elegante, con la testa completamente rasata e un trucco impeccabile, è entrata con passo sicuro. I suoi occhi verdi erano ipnotici, e l’aria di superiorità che emanava era in netto contrasto con il suo aspetto umile e obbediente. Si è avvicinata al nostro tavolo, abbassando leggermente la testa “Buonasera Padrona, Buonasera Padrone,” ha detto con voce sommessa, fissandomi con uno sguardo pieno di rispetto. I suoi occhi, verdi e profondi, sembravano scrutarmi, e per un momento ho percepito una deferenza cosi sincera da lasciarmi spiazzato. Non era un gioco, non era un’esibizione. Era autentico.

Irene, accanto a me, sorrideva compiaciuta, incrociando le braccia:” te l’avevo detto Vitt che non era solo una storia,” ha detto con un tono che mescolava provocazione e complicità, studiando ogni mia reazione.

Olga rimase in piedi, composta, con un’eleganza naturale che sembrava contraddire il ruolo che le era stato assegnato.”

“Che ne dici?” Irene continuò, inclinando leggermente la testa verso di me. “Hai voglia di scoprire fino a dove può arrivare questa notte?” Non risposi subito. Cercavo di processare ciò che stava accadendo, il significato di quello sguardo. Di quelle parole. Olga, come se capisse il mio tentennamento, abbassò lievemente gli occhi in un gesto di rispetto, ma senza mai perdere la sua compostezza.

“La macchina è pronta,” disse con una voce tranquilla e sicura, rivolta principalmente a Irene. Poi, voltandosi verso di me, aggiunse con un sorriso enigmatico:” Se decide di unirsi a noi, Padrone.”

Irene si alzò con calma, e mi guardò. “Questa notte potrebbe essere più interessante di quanto immagini.”

Non risposi subito, ma mi alzai con calma, il mio sguardo che sfiorava il suo per un attimo. “Andiamo, “dissi semplicemente, ma con tono che non ammetteva repliche.

Fuori, la Mercedes di Olga ci aspettava. Lei aprì la portiera posteriore con grazia, lasciando che io e Irene prendessimo posto. Una volta a bordo, Irene mi osservò per un attimo, con uno sguardo che parlava più di mille parole: complicità, sfida e un pizzico di curiosità.

“Benvenuto nel nostro mondo, Vittorio,” disse con un sorriso sottile, ma la sua voce portava con sé un invito chiaro, un’anticipazione che non lasciava spazio a dubbi.

Mi sistemai sul sedile, lasciando che la macchina partisse. Non ero lì per caso, e lo sapevo bene. Non era solo curiosità a spingermi, ma una naturale predisposizione a comprendere e guidare situazioni come questa. La dinamica tra di noi si sarebbe definita presto, ma non c’era fretta. La notte era giovane, e ogni cosa avrebbe trovato il suo tempo e il suo spazio. Sapevo leggere l’animo umano, ogni respiro trattenuto, ogni tensione nel corpo. Era una parte naturale di me, non qualcosa che dovevo dimostrare. Non era una sfida, né un confronto. Era una scoperta reciproca, un terreno che avremmo condiviso e plasmato insieme. Mentre la macchina correva nel silenzio della notte, il mio sguardo si alternava tra Irene e Olga. Non ero lì per essere spettatore. Quella notte avrebbe preso forma, e sapevo che in qualche modo sarebbe rimasta impressa in tutti noi.

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Questo racconto è basato su una storia originale del Barber. Ho arricchito il testo con dettagli e riflessioni per renderlo ancora più coinvolgente, mantenendo però l'essenza e l'ispirazione originaria."

*Quando la donna sussurra di sentirsi “libera”, si apre uno spiraglio su una realtà complessa e profondamente personale. La libertà, in questo contesto, non è un concetto assoluto né un’esperienza universale. Non tutti trovano libertà nella sottomissione, così come non tutti trovano appagamento nel controllo. Ogni individuo ha un proprio modo di vivere il piacere, l’intimità e l’espressione di sé, e queste dinamiche funzionano solo per chi sente di appartenervi, in un equilibrio unico e irripetibile.

Per chi le vive, queste esperienze non sono mai una fuga dalla quotidianità o dai problemi personali, né un semplice “gioco” privo di significato. Sono piuttosto una ricerca profonda, che tocca corde intime e nascoste. La sottomissione, per alcuni, è la possibilità di mettere da parte il bisogno costante di controllare tutto, di abbandonarsi completamente a qualcun altro, sapendo che quel qualcuno agirà con rispetto, cura e attenzione. È una forma di fiducia radicale, un atto di connessione che permette di esplorare la propria vulnerabilità in modo sicuro e consensuale.

Ma non è solo una questione di libertà dalla responsabilità. È anche un modo di scoprire nuove parti di sé, di mettersi in gioco in un contesto che rompe le regole della quotidianità e consente di vivere qualcosa di unico. Per altri, invece, la libertà si trova nel ruolo opposto: nel dominare, nel prendersi cura di chi si affida, nell’assumersi il carico emotivo e psicologico di guidare un’esperienza così intensa.

 Queste esperienze non hanno nulla di universale, nulla di facile da spiegare o da replicare. Non si tratta di evadere, ma di scegliere consapevolmente di vivere una dinamica che risponde a desideri profondi e personali. È un linguaggio dell’anima che non può essere compreso appieno da chi non lo parla, ma che è meravigliosamente significativo per chi lo vive. È libertà, sì, ma di un tipo speciale: la libertà di essere pienamente se stessi, anche in modi che il mondo non sempre capisce o accetta. *

 

*Salopa: Ha 2 significati: uno è porcellina" l'altro "puttana dal francese Salop

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