Pensa a quando conosci una persona nuova, non ti fidi di lei
subito, no? Prima ascolti cosa ha da dire, osservi come si comporta, magari
metti alla prova quello che ti racconta. Ecco, in una relazione Dom/sub, è la
stessa cosa, ma amplificata. Perché qui non stai solo condividendo un caffè o
una chiacchierata: stai mettendo in gioco i tuoi desideri più profondi, i tuoi
limiti, le tue fantasie. E questo richiede una base solida, una certezza che
l’altra persona saprà rispettarti. Un
elemento che aiuta tantissimo è la comunicazione chiara. Non si può essere
ambigui quando si parla di limiti e aspettative. Cosa vuoi? Cosa non vuoi
assolutamente? Quali sono le tue paure? Tutto questo deve essere discusso
apertamente, senza vergogna. È qui che si capisce se una persona è pronta per
una relazione di questo tipo. Se non riesce a essere chiara o se tende a
manipolare, la fiducia crolla prima ancora di iniziare.
Poi c’è il tema dei ruoli e di come questi possano
sovrapporsi. È un argomento delicato. Perché. Diciamocelo, siamo tutti umani.
Una dominatrice non è sempre fredda e in controllo, e un sottomesso non è
sempre docile e pronto ad obbedire. Fuori dal gioco, siamo persone con vite
normali, emozioni, problemi. Ma se i ruoli si confondono troppo, le cose
possono diventare complicate. Ti faccio un esempio: se una dominatrice inizia a
dipendere emotivamente dal suo sottomesso, rischia di perdere quella sicurezza
che la rende il punto di riferimento nel gioco. Allo stesso modo, se un sottomesso
cerca nella dominatrice una figura che risolva tutti i suoi problemi, la
relazione può diventare pesante e squilibrata. È qui che bisogna fermarsi e
chiedersi:” Qual è il confine tra gioco e realtà? E questo confine lo stiamo
rispettando?”
Non è facile. C’è sempre il rischio di creare aspettative
non dette. Il sottomesso potrebbe pensare che la dominatrice debba essere
sempre disponibile, mentre lei potrebbe sentirsi sopraffatta dal dover
mantenere costantemente un ruolo. È per questo che, secondo me, serve una sorta
di equilibrio. Una dominatrice deve sapere quando abbassare la maschera e
prendersi cura di sé stessa. E un
sottomesso deve ricordare che, anche se vive quel rapporto in modo
totalizzante, ci sono dei confini che non devono essere superati. La chiave è
parlarsi, sempre.
Un altro aspetto della sovrapposizione dei ruoli, e forse
uno dei più delicati, è quando una delle due parti crede di essersi innamorata
dell’altra. Premetto che a me non è mai successo di provare qualcosa del genere,
ma ho avuto situazioni in cui alcune persone che venivano da me hanno iniziato
a riversare su di me i loro desideri, le loro fantasie, forse anche i loro
bisogni irrisolti, e li hanno interpretati come amore. Ma, riflettendoci, credo
che non fosse vero amore. Più che altro, penso fosse una sorta di
idealizzazione. Quando una persona si affida a te in una dinamica Dom/sub,
soprattutto se è sottomessa, può proiettare su di te tutta una serie di
emozioni: ammirazione, soggezione, gratitudine, e queste emozioni, che nel
contesto del gioco possono essere molto intense, a volte vengono confuse con
qualcosa di più profondo, come l’amore.
Il problema è che il BDSM, proprio per la sua natura, crea
un ambiente molto intenso, quasi una bolla in cui le emozioni si amplificano.
Durante una sessione si crea una connessione profonda, un legame che può
sembrare unico, quasi magico. Ed è facile, per qualcuno che vive quel momento
dall’interno, pensare: “Sto provando qualcosa di speciale, quindi deve essere
amore.” Ma il più delle volte, non lo è. E’ un insieme di emozioni amplificate
dalla dinamica di potere, dalla fiducia che si costruisce, dalla cura che la
dominatrice offre. È questa idealizzazione è comprensibile: nel ruolo della
dominatrice, sei forte, sicura, sei quel punto fermo che molti cercano. Ma
questo non significa che ci sia amore vero. Significa, piuttosto, che hai
colmato un bisogno, che hai risposto ad un desiderio. Per me è importante
mantenere chiari i confini. Perché se permetti che questi sentimenti crescano
senza affrontarli, rischi di danneggiare la fiducia e l’equilibrio su cui tutto
si basa, e soprattutto, rischi che l’altra persona soffra inutilmente.
E poi c’è l’aftercare, che non solo chiedere come sta l’altra persona. Io lo intendo in un modo un po’ diverso rispetto al senso più comune. Non sono una persona “da coccole” o eccessivamente affettuosa dopo una sessione. Per me Il mio modo di prendermi cura dello schiavo è diverso: è più pratico, più mentale, più legato a al tempo e al dialogo. Io, ad esempio, se c’è tempo, e la situazione lo permette preparo pranzo dopo una sessione. Ci sediamo insieme. Mangiamo, chiacchieriamo. È un momento per metabolizzare le emozioni, per rilassarsi e trovare un equilibrio. È un modo per dire: “Va tutto bene, adesso torniamo con i piedi per terra, ma lo facciamo insieme” C’è qualcosa nella cucina, nei gesti del preparare e del condividere il cibo, che aiuta a creare un ambiente sicuro, familiare. È cura, ma in un senso più ampio: prendersi il tempo per stare insieme, abbassare le difese e far sedimentare quello che è successo. Penso che sia fondamentale. Non si può lasciare una sessione “sospesa”, come se fosse solo un momento isolato. Se invece non c’è tempo o l’altra persona deve andare, mi fermo comunque a chiacchierare. Non c’è bisogno di parlare necessariamente della sessione, anzi, il più delle volte preferisco non farlo subito. Sai perché? Perché subito dopo una sessione si vive ancora sull’onda emotiva, e quello che si prova in quel momento è spesso amplificato. Ci si sente in alto o in basso, a seconda delle dinamiche, ma non è mai una visione chiara: E’ per questo che chiedo sempre di scrivermi il giorno dopo: Voglio sapere come stanno, ma voglio che le emozioni siano sedimentate, solo così posso avere una visione e un feedback reale e non guidato dal momento. Questo è fondamentale per me, capire cosa è rimasto, quali sensazioni hanno avuto il tempo di radicarsi, cosa ha funzionato e cosa no.
In questo modo; l’aftercare non diventa solo
un momento, ma una continuità, è il ponte tra il gioco e la vita reale, ed qui
che si costruisce quel legame speciale che rende il BDSM qualcosa di unico. Non
è una coccola fatta di carezze, ma una cura che passa attraverso il dialogo, il
rispetto dei tempi e una riflessione condivisa. È un approccio più mentale, ma
credo sia altrettanto importante, se non di più
Ma attenzione: tutto questo richiede maturità e
consapevolezza. Una dominatrice deve essere preparata, sapere cosa sta
facendo. E un sottomesso deve essere
altrettanto consapevole dei suoi bisogni e dei suoi limiti. Non si può
improvvisare. Perché quando si confondono troppo i ruoli, si rischia di
distruggere quel fragile equilibrio su cui tutto si basa. In fondo, la
dominazione non è una questione di fruste o catene. È una questione di fiducia.
Ed è una fiducia che va guadagnata, protetta e mai data per scontata.
Lady Altea
Analisi semplicemente perfetta. Il rispetto reciproco e dei ruoli va sempre costruito sulla fiducia e sul dialogo. Il confronto è basilare, come il Suo modo di intendere l' Aftercare in cui la trasparenza e sopratutto la discussione riguardo alla sessione e preferibile affrontarla a posteriori ad emozioni sopite.
RispondiEliminaGrazie mille per le tue parole! Credo fermamente che la trasparenza e il dialogo siano fondamentali per costruire un rapporto di fiducia e comprensione reciproca. E' proprio grazie a questi momenti di confronto, affrontati con calma e a mente lucida, che si possono creare connessioni autentiche e significative.
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