giovedì 23 gennaio 2025

Il mito dell’orgasmo universale nel BDSM.





Uno degli errori più frequenti che noto è pensare che esistano pratiche universali, valide per chiunque:” Mi hanno detto che con questa pratica posso avere un orgasmo incredibile”. È una frase che sento spesso, legata a tante pratiche diverse: il controllo del respiro, il dolore, il bondage, e via dicendo. Ma ciò che voglio sottolineare, ciò che ritengo essenziale, è che non esiste una pratica che garantisca un tipo specifico di orgasmo o piacere per tutti. Il BDSM non funziona come una ricetta. Non è che, aggiungendo una pratica specifica al tuo repertorio, otterrai automaticamente un certo tipo di piacere o orgasmo. Certo, esistono racconti, esperienze personali e persino teorie scientifiche che collegano determinate pratiche a certe sensazioni intense. Ma questo non significa che quelle esperienze siano replicabili per tutti, in qualsiasi contesto. Prendiamo, ad esempio, il controllo del respiro ( breath control). C’è chi dice che ridurre temporaneamente l’apporto di ossigeno può amplificare le sensazioni e portare a orgasmi straordinari. È vero: per alcune persone funziona così. Ma altre potrebbero non provare niente di speciale, o addirittura sentirsi a disagio o spaventarsi. Lo stesso vale per il dolore: c’è chi lo vive come una fonte di piacere, e chi invece lo trova insopportabile o semplicemente non eccitante. Il punto fondamentale è che il piacere, così come l’orgasmo, è qualcosa di profondamente personale. Non è solo una questione fisica, ma anche emotiva e psicologica. Ciò che funziona per una persona dipende da una combinazione unica di fattori, tra cui:

PREDISPOSIZIONE PERSONALE: non tutti hanno lo stesso rapporto con il proprio corpo e le proprie sensazioni

CONTESTO EMOTIVO: La fiducia, la connessione e la sicurezza giocano un ruolo cruciale. Una pratica vissuta con la persona sbagliata potrebbe risultare deludente, mentre con la persona giusta può trasformarsi in un’esperienza straordinaria.

MOMENTO E PREDISPOSIZIONE MENTALE: Ciò che piace oggi potrebbe non piacerti domani, o viceversa.

Quando qualcuno dice, “con quella pratica puoi provare quel tipo di piacere “ricorda che non esiste una formula magica. Il BDSM è unico per ogni persona e per ogni relazione. Queste idee creano aspettative irrealistiche, quando qualcuno entra nel mondo BDSM aspettandosi che una certa pratica dia loro un certo tipo di orgasmo, rischia di rimanere deluso. Questo approccio trasforma il BDSM in una lista di cose da provare, invece di un’esplorazione autentica e personale. Ciò che mi sento di consigliare è di ASCOLTARSI, non partire da ciò che si dice o da ciò che hai letto, ma da ciò che senti. Non esiste una pratica che garantisca il piacere a tutti, perché il BDSM non è una scienza esatta. È un viaggio intimo, in cui scopri cosa funziona per te e cosa no.   La bellezza di questo mondo sta proprio nella sua soggettività. Non lasciarti ingannare dall’idea che una pratica specifica garantisca un certo tipo di piacere o orgasmo. Non è cosi, e non deve esserlo, è un’esperienza personale, fatta di scoperte, emozioni e connessioni uniche. Ogni pratica va vissuta per ciò che è: una possibilità, non una promessa. E il piacere che troverai/proverai dipenderà non da ciò che si dice, ma da chi sei, cosa cerchi e come scegli di vivere questa esperienza. È questo che rende il BDSM speciale: la libertà di essere autentici e di scoprire il proprio piacere, senza aspettative preconfezionate. Alla fine, ciò che conta davvero non è raggiungere un obbiettivo prestabilito, ma il viaggio che fai per scoprire te stesso e i tuoi desideri: Lasciati guidare dalla curiosità, dall’ascolto e dalla fiducia, perché il vero piacere sta nell’esplorare ciò che ti rende unico, senza il peso di dover essere o provare qualcosa che non ti appartiene.

lunedì 20 gennaio 2025

Subspace e Topspace : un viaggio condiviso

 


C’è una magia silenziosa che accade durante una sessione BDSM, una trasformazione che non è solo fisica ma soprattutto mentale. Non si tratta semplicemente di seguire un copione o di interpretare un ruolo: è un incontro intimo con sé stessi attraverso l’altro. È qui che entrano in gioco due stati di flusso emotivo, profondamente diversi ma complementari: il subspace e il topspace. Due esperienze che, in modi opposti, conducono a una verità personale intensa e spesso inaspettata.

Per chi lo vive, il subspace è un viaggio verso l’interno, un luogo in cui tutto si dissolve: ansie, pensieri, aspettative. Rimane solo il momento presente, un presente che sembra sospeso, quasi irreale.Il mio  schiavo mi ha parlato spesso di questo stato, e ogni volta il racconto cambia nelle sfumature, ma non nell’essenza. Un giorno, un altro schiavo, mi ha detto con un filo di voce: “È come se smettessi di esistere come persona, ma non in modo negativo. Mi sento libero di essere solo un corpo, una sensazione, qualcosa che appartiene a te. Non devo fare nulla, non devo decidere nulla. Mi lascio galleggiare in un mondo che crei tu.”

E un altro, con gli occhi ancora persi nell’intensità della sessione, ha sussurrato: “Sento che il mio respiro dipende dal tuo. È come essere sott’acqua, ma è la pressione che mi fa sentire vivo. È la tua presenza che mi tiene al sicuro.”Il subspace non è debolezza, né semplice abbandono. È un dono. È la capacità di fidarsi a tal punto da lasciare il controllo a qualcun altro, sapendo che quella persona non lo userà mai per ferirti, ma per portarti dove da solo non riusciresti ad andare.

Il Topspace, è per me, il cuore pulsante di ogni sessione.È difficile da spiegare, ma ogni volta che entro in quello stato, è come se qualcosa in me si accendesse. Non c’è spazio per i dubbi o le distrazioni, tutto si concentra sull’altro, sul momento. Ogni respiro che sento, ogni tremore sotto le mie mani, diventa parte di una sinfonia che sto dirigendo.Non è potere fine a sé stesso, non è dominio sterile. È responsabilità, è cura. Sentire che qualcuno si affida a me con tutto sé stesso mi dà una forza che non trovo altrove. Ma non è un controllo rigido: è un fluire continuo, come se fossi in dialogo con l’altra persona, anche quando nessuno di noi due parla.Mi piace osservare i dettagli: il modo in cui gli occhi dello schiavo si abbassano, il ritmo del suo respiro che cambia, la tensione che si scioglie a ogni comando. È lì che trovo la mia forza, nel vedere che ogni gesto che faccio lo guida verso qualcosa di nuovo, qualcosa che forse non sapeva nemmeno di cercare.E poi, c’è quel momento. Lo riconosco sempre. Lo sguardo che diventa diverso, più profondo. È lì che capisco di essere riuscita a condurlo dove voleva, dove aveva bisogno di andare, anche se non lo sapeva. E in quel momento, io stessa mi sento completa.Quando la sessione si avvia alla conclusione, sia il subspace che il topspace iniziano a dissolversi, ma non di colpo. È un passaggio lento, come il calare di un sipario. Ci troviamo di nuovo semplicemente noi, senza ruoli, senza barriere.Non sempre mi lascio andare a gesti fisici. Gli abbracci, lo ammetto, non sono il mio modo naturale di esprimere affetto. Non perché non ne sia capace, ma perché ho sempre avuto una sorta di barriera emotiva nei confronti del contatto fisico troppo spontaneo. Non è freddezza, non sono un robot privo di emozioni. È semplicemente un aspetto di me, un limite che riconosco e che a volte scelgo di superare. Ma quello che offro in quei momenti non è meno autentico. Un sorriso, uno scambio di parole leggere, un piccolo gesto. Sono modi per dire: Sono qui, ti vedo, ti riconosco. Il subspace e il topspace non si esauriscono nella sessione, lasciano qualcosa che rimane, che entrambi portiamo con noi. Per lo schiavo, può essere un senso di leggerezza o una nuova consapevolezza. Per me è la certezza di aver dato qualcosa di significativo, ma anche di aver ricevuto. Ogni gesto, ogni emozione condivisa diventa parte di me, mi nutre mi da forza. Non sono solo una guida, sono parte di questo viaggio, e ne traggo a mia volta un potere che nasce dall’intensità di una connessione autentica                

Non è solo un gioco di ruoli. È un viaggio, un incontro con l’altro e con se stessi. E per quanto intenso, non è mai pesante. Perché, alla fine, tutto ciò che resta è la verità. E la verità, per quanto complessa, è sempre liberatoria.

Lady Altea

giovedì 9 gennaio 2025

SVILUPPO DELLA FIDUCIA TRA DOM E SUB E RISCHI CONNESSI ALLA SOVRAPPOSIZIONE DEI RUOLI

 


Quando si parla di fiducia tra una dominatrice e un sottomesso, entriamo nel cuore di ciò che rende il BDSM diverso da un semplice gioco o da una fantasia. È una relazione, che sia breve o a lungo termine, basata su una connessione profonda, su un accordo chiaro e su una comunicazione onesta. Ma questa fiducia, per quanto essenziale, non si costruisce in un giorno. Richiede tempo, pazienza e anche una certa vulnerabilità da entrambe le parti (per vulnerabilità intendo la capacità di mostrarsi autentici, senza maschere, esponendo desideri e paure).

Pensa a quando conosci una persona nuova, non ti fidi di lei subito, no? Prima ascolti cosa ha da dire, osservi come si comporta, magari metti alla prova quello che ti racconta. Ecco, in una relazione Dom/sub, è la stessa cosa, ma amplificata. Perché qui non stai solo condividendo un caffè o una chiacchierata: stai mettendo in gioco i tuoi desideri più profondi, i tuoi limiti, le tue fantasie. E questo richiede una base solida, una certezza che l’altra persona saprà rispettarti.  Un elemento che aiuta tantissimo è la comunicazione chiara. Non si può essere ambigui quando si parla di limiti e aspettative. Cosa vuoi? Cosa non vuoi assolutamente? Quali sono le tue paure? Tutto questo deve essere discusso apertamente, senza vergogna. È qui che si capisce se una persona è pronta per una relazione di questo tipo. Se non riesce a essere chiara o se tende a manipolare, la fiducia crolla prima ancora di iniziare.

Poi c’è il tema dei ruoli e di come questi possano sovrapporsi. È un argomento delicato. Perché. Diciamocelo, siamo tutti umani. Una dominatrice non è sempre fredda e in controllo, e un sottomesso non è sempre docile e pronto ad obbedire. Fuori dal gioco, siamo persone con vite normali, emozioni, problemi. Ma se i ruoli si confondono troppo, le cose possono diventare complicate. Ti faccio un esempio: se una dominatrice inizia a dipendere emotivamente dal suo sottomesso, rischia di perdere quella sicurezza che la rende il punto di riferimento nel gioco. Allo stesso modo, se un sottomesso cerca nella dominatrice una figura che risolva tutti i suoi problemi, la relazione può diventare pesante e squilibrata. È qui che bisogna fermarsi e chiedersi:” Qual è il confine tra gioco e realtà? E questo confine lo stiamo rispettando?”

Non è facile. C’è sempre il rischio di creare aspettative non dette. Il sottomesso potrebbe pensare che la dominatrice debba essere sempre disponibile, mentre lei potrebbe sentirsi sopraffatta dal dover mantenere costantemente un ruolo. È per questo che, secondo me, serve una sorta di equilibrio. Una dominatrice deve sapere quando abbassare la maschera e prendersi cura di sé stessa.  E un sottomesso deve ricordare che, anche se vive quel rapporto in modo totalizzante, ci sono dei confini che non devono essere superati. La chiave è parlarsi, sempre.

Un altro aspetto della sovrapposizione dei ruoli, e forse uno dei più delicati, è quando una delle due parti crede di essersi innamorata dell’altra. Premetto che a me non è mai successo di provare qualcosa del genere, ma ho avuto situazioni in cui alcune persone che venivano da me hanno iniziato a riversare su di me i loro desideri, le loro fantasie, forse anche i loro bisogni irrisolti, e li hanno interpretati come amore. Ma, riflettendoci, credo che non fosse vero amore. Più che altro, penso fosse una sorta di idealizzazione. Quando una persona si affida a te in una dinamica Dom/sub, soprattutto se è sottomessa, può proiettare su di te tutta una serie di emozioni: ammirazione, soggezione, gratitudine, e queste emozioni, che nel contesto del gioco possono essere molto intense, a volte vengono confuse con qualcosa di più profondo, come l’amore. 

Il problema è che il BDSM, proprio per la sua natura, crea un ambiente molto intenso, quasi una bolla in cui le emozioni si amplificano. Durante una sessione si crea una connessione profonda, un legame che può sembrare unico, quasi magico. Ed è facile, per qualcuno che vive quel momento dall’interno, pensare: “Sto provando qualcosa di speciale, quindi deve essere amore.” Ma il più delle volte, non lo è. E’ un insieme di emozioni amplificate dalla dinamica di potere, dalla fiducia che si costruisce, dalla cura che la dominatrice offre. È questa idealizzazione è comprensibile: nel ruolo della dominatrice, sei forte, sicura, sei quel punto fermo che molti cercano. Ma questo non significa che ci sia amore vero. Significa, piuttosto, che hai colmato un bisogno, che hai risposto ad un desiderio. Per me è importante mantenere chiari i confini. Perché se permetti che questi sentimenti crescano senza affrontarli, rischi di danneggiare la fiducia e l’equilibrio su cui tutto si basa, e soprattutto, rischi che l’altra persona soffra inutilmente.

 E poi c’è l’aftercare, che non solo chiedere come sta l’altra persona. Io lo intendo in un modo un po’ diverso rispetto al senso più comune. Non sono una persona “da coccole” o eccessivamente affettuosa dopo una sessione. Per me Il mio modo di prendermi cura dello schiavo è diverso: è più pratico, più mentale, più legato a al tempo e al dialogo. Io, ad esempio, se c’è tempo, e la situazione lo permette         preparo pranzo dopo una sessione. Ci sediamo insieme. Mangiamo, chiacchieriamo. È un momento per metabolizzare le emozioni, per rilassarsi e trovare un equilibrio. È un modo per dire: “Va tutto bene, adesso torniamo con i piedi per terra, ma lo facciamo insieme” C’è qualcosa nella cucina, nei gesti del preparare e del condividere il cibo, che aiuta a creare un ambiente sicuro, familiare. È cura, ma in un senso più ampio: prendersi il tempo per stare insieme, abbassare le difese e far sedimentare quello che è successo. Penso che sia fondamentale. Non si può lasciare una sessione “sospesa”, come se fosse solo un momento isolato. Se invece non c’è tempo o l’altra persona deve andare, mi fermo comunque a chiacchierare. Non c’è bisogno di parlare necessariamente della sessione, anzi, il più delle volte preferisco non farlo subito.      Sai perché? Perché subito dopo una sessione si vive ancora sull’onda emotiva, e quello che si prova in quel momento è spesso amplificato. Ci si sente in alto o in basso, a seconda delle dinamiche, ma non è mai una visione chiara: E’ per questo che chiedo sempre di scrivermi il giorno dopo: Voglio sapere come stanno, ma voglio che le emozioni siano sedimentate, solo così posso avere una visione e un feedback reale e non guidato dal momento. Questo è fondamentale per me, capire cosa è rimasto, quali sensazioni hanno avuto il tempo di radicarsi, cosa ha funzionato e cosa no.                                   

In questo modo; l’aftercare non diventa solo un momento, ma una continuità, è il ponte tra il gioco e la vita reale, ed qui che si costruisce quel legame speciale che rende il BDSM qualcosa di unico. Non è una coccola fatta di carezze, ma una cura che passa attraverso il dialogo, il rispetto dei tempi e una riflessione condivisa. È un approccio più mentale, ma credo sia altrettanto importante, se non di più

Ma attenzione: tutto questo richiede maturità e consapevolezza. Una dominatrice deve essere preparata, sapere cosa sta facendo.  E un sottomesso deve essere altrettanto consapevole dei suoi bisogni e dei suoi limiti. Non si può improvvisare. Perché quando si confondono troppo i ruoli, si rischia di distruggere quel fragile equilibrio su cui tutto si basa. In fondo, la dominazione non è una questione di fruste o catene. È una questione di fiducia. Ed è una fiducia che va guadagnata, protetta e mai data per scontata.


Lady Altea

BDSM non significa tutto. E non significa tutti.

C’è una convinzione diffusa che, se qualcuno si avvicina al mondo del BDSM, debba necessariamente accettarlo nella sua totalità. Come se fos...