"Benvenuti nel mondo di Lady Altea.Un luogo dove l'intensità del BDSM incontra la profondità delle emozioni, dove la mia esperienza di dominatrice si intreccia con riflessioni intime, racconti personali e spunti di condivisione." Qui esploro il potere del dialogo, la bellezza della vulnerabilità e la complessità dei legami che nascono in questo universo. Per chi desidera comprendere, condividere esperienze, per chi vive con passione ogni sfumatura del piacere e del dolore."
giovedì 13 marzo 2025
BDSM non significa tutto. E non significa tutti.
mercoledì 26 febbraio 2025
BDSM e spiritualità: due strade che si incontrano
lunedì 27 gennaio 2025
Il mio pensiero sulla money slavery: più di un gioco
Racconto
Nella goccia il nulla.
Riflessione finale:
Scrivere di Money Slavery è sempre un processo
complesso, perché non è facile spiegare un mondo così intricato e sfumato. C’è
tanta confusione intorno a questa pratica. Troppo spesso chi si avvicina al
mondo della Money Slavery la interpreta come un semplice scambio: “Io ti pago e
tu fai qualcosa con me.” Oppure, al contrario, c’è chi immagina che basti
schioccare le dita per avere persone disposte a regalarti soldi, come se fosse
una magia. Ma non funziona così. La verità è che ciò che si “dà” e si “riceve”
in questo contesto non è mai semplicemente denaro. È qualcosa di molto più
profondo. Quel “niente” che lo schiavo offre non è realmente vuoto: è carico di
emozioni, di desiderio, di vulnerabilità. È un vuoto che pesa, un vuoto che
parla. Ed è proprio questo che rende tutto così difficile e affascinante:
trovare qualcuno che sia davvero in grado di vivere questa dinamica senza
fraintenderla, senza svilirla. Creare un rapporto sincero e valido nel contesto
della Money Slavery è un equilibrio delicato. Richiede fiducia, consapevolezza
e una connessione autentica. E, purtroppo, non è per tutti. Ma quando accade,
quando si riesce a creare quel legame così unico e profondo, diventa qualcosa
di straordinario, che va oltre le apparenze e i pregiudizi. Diventa un gioco,
sì, ma un gioco che scava nell’anima.
giovedì 23 gennaio 2025
Il mito dell’orgasmo universale nel BDSM.
PREDISPOSIZIONE PERSONALE: non tutti hanno lo stesso
rapporto con il proprio corpo e le proprie sensazioni
CONTESTO EMOTIVO: La fiducia, la connessione e la sicurezza
giocano un ruolo cruciale. Una pratica vissuta con la persona sbagliata
potrebbe risultare deludente, mentre con la persona giusta può trasformarsi in
un’esperienza straordinaria.
MOMENTO E PREDISPOSIZIONE MENTALE: Ciò che piace oggi
potrebbe non piacerti domani, o viceversa.
Quando qualcuno dice, “con quella pratica puoi provare quel tipo di piacere “ricorda che non esiste una formula magica. Il BDSM è unico per ogni persona e per ogni relazione. Queste idee creano aspettative irrealistiche, quando qualcuno entra nel mondo BDSM aspettandosi che una certa pratica dia loro un certo tipo di orgasmo, rischia di rimanere deluso. Questo approccio trasforma il BDSM in una lista di cose da provare, invece di un’esplorazione autentica e personale. Ciò che mi sento di consigliare è di ASCOLTARSI, non partire da ciò che si dice o da ciò che hai letto, ma da ciò che senti. Non esiste una pratica che garantisca il piacere a tutti, perché il BDSM non è una scienza esatta. È un viaggio intimo, in cui scopri cosa funziona per te e cosa no. La bellezza di questo mondo sta proprio nella sua soggettività. Non lasciarti ingannare dall’idea che una pratica specifica garantisca un certo tipo di piacere o orgasmo. Non è cosi, e non deve esserlo, è un’esperienza personale, fatta di scoperte, emozioni e connessioni uniche. Ogni pratica va vissuta per ciò che è: una possibilità, non una promessa. E il piacere che troverai/proverai dipenderà non da ciò che si dice, ma da chi sei, cosa cerchi e come scegli di vivere questa esperienza. È questo che rende il BDSM speciale: la libertà di essere autentici e di scoprire il proprio piacere, senza aspettative preconfezionate. Alla fine, ciò che conta davvero non è raggiungere un obbiettivo prestabilito, ma il viaggio che fai per scoprire te stesso e i tuoi desideri: Lasciati guidare dalla curiosità, dall’ascolto e dalla fiducia, perché il vero piacere sta nell’esplorare ciò che ti rende unico, senza il peso di dover essere o provare qualcosa che non ti appartiene.
lunedì 20 gennaio 2025
Subspace e Topspace : un viaggio condiviso
Per chi lo vive, il subspace è un viaggio verso l’interno, un
luogo in cui tutto si dissolve: ansie, pensieri, aspettative. Rimane solo il
momento presente, un presente che sembra sospeso, quasi irreale.Il mio schiavo mi ha parlato spesso di questo stato,
e ogni volta il racconto cambia nelle sfumature, ma non nell’essenza. Un
giorno, un altro schiavo, mi ha detto con un filo di voce: “È come se smettessi
di esistere come persona, ma non in modo negativo. Mi sento libero di essere
solo un corpo, una sensazione, qualcosa che appartiene a te. Non devo fare
nulla, non devo decidere nulla. Mi lascio galleggiare in un mondo che crei tu.”
E un altro, con gli occhi ancora persi nell’intensità della
sessione, ha sussurrato: “Sento che il mio respiro dipende dal tuo. È come
essere sott’acqua, ma è la pressione che mi fa sentire vivo. È la tua presenza
che mi tiene al sicuro.”Il subspace non è debolezza, né semplice abbandono. È
un dono. È la capacità di fidarsi a tal punto da lasciare il controllo a
qualcun altro, sapendo che quella persona non lo userà mai per ferirti, ma per
portarti dove da solo non riusciresti ad andare.
Il Topspace, è per me, il cuore pulsante di ogni sessione.È
difficile da spiegare, ma ogni volta che entro in quello stato, è come se
qualcosa in me si accendesse. Non c’è spazio per i dubbi o le distrazioni,
tutto si concentra sull’altro, sul momento. Ogni respiro che sento, ogni
tremore sotto le mie mani, diventa parte di una sinfonia che sto dirigendo.Non
è potere fine a sé stesso, non è dominio sterile. È responsabilità, è cura.
Sentire che qualcuno si affida a me con tutto sé stesso mi dà una forza che non
trovo altrove. Ma non è un controllo rigido: è un fluire continuo, come se
fossi in dialogo con l’altra persona, anche quando nessuno di noi due parla.Mi
piace osservare i dettagli: il modo in cui gli occhi dello schiavo si
abbassano, il ritmo del suo respiro che cambia, la tensione che si scioglie a
ogni comando. È lì che trovo la mia forza, nel vedere che ogni gesto che faccio
lo guida verso qualcosa di nuovo, qualcosa che forse non sapeva nemmeno di
cercare.E poi, c’è quel momento. Lo riconosco sempre. Lo sguardo che diventa
diverso, più profondo. È lì che capisco di essere riuscita a condurlo dove
voleva, dove aveva bisogno di andare, anche se non lo sapeva. E in quel
momento, io stessa mi sento completa.Quando la sessione si avvia alla
conclusione, sia il subspace che il topspace iniziano a dissolversi, ma non di
colpo. È un passaggio lento, come il calare di un sipario. Ci troviamo di nuovo
semplicemente noi, senza ruoli, senza barriere.Non sempre mi lascio andare a
gesti fisici. Gli abbracci, lo ammetto, non sono il mio modo naturale di
esprimere affetto. Non perché non ne sia capace, ma perché ho sempre avuto una
sorta di barriera emotiva nei confronti del contatto fisico troppo spontaneo.
Non è freddezza, non sono un robot privo di emozioni. È semplicemente un
aspetto di me, un limite che riconosco e che a volte scelgo di superare. Ma
quello che offro in quei momenti non è meno autentico. Un sorriso, uno scambio
di parole leggere, un piccolo gesto. Sono modi per dire: Sono qui, ti vedo, ti
riconosco. Il subspace e il topspace non si esauriscono nella sessione, lasciano
qualcosa che rimane, che entrambi portiamo con noi. Per lo schiavo, può essere
un senso di leggerezza o una nuova consapevolezza. Per me è la certezza di aver
dato qualcosa di significativo, ma anche di aver ricevuto. Ogni gesto, ogni
emozione condivisa diventa parte di me, mi nutre mi da forza. Non sono solo una
guida, sono parte di questo viaggio, e ne traggo a mia volta un potere che
nasce dall’intensità di una connessione autentica
Non è solo un gioco di ruoli. È un viaggio, un incontro con
l’altro e con se stessi. E per quanto intenso, non è mai pesante. Perché, alla
fine, tutto ciò che resta è la verità. E la verità, per quanto complessa, è
sempre liberatoria.
Lady Altea
giovedì 9 gennaio 2025
SVILUPPO DELLA FIDUCIA TRA DOM E SUB E RISCHI CONNESSI ALLA SOVRAPPOSIZIONE DEI RUOLI
Pensa a quando conosci una persona nuova, non ti fidi di lei
subito, no? Prima ascolti cosa ha da dire, osservi come si comporta, magari
metti alla prova quello che ti racconta. Ecco, in una relazione Dom/sub, è la
stessa cosa, ma amplificata. Perché qui non stai solo condividendo un caffè o
una chiacchierata: stai mettendo in gioco i tuoi desideri più profondi, i tuoi
limiti, le tue fantasie. E questo richiede una base solida, una certezza che
l’altra persona saprà rispettarti. Un
elemento che aiuta tantissimo è la comunicazione chiara. Non si può essere
ambigui quando si parla di limiti e aspettative. Cosa vuoi? Cosa non vuoi
assolutamente? Quali sono le tue paure? Tutto questo deve essere discusso
apertamente, senza vergogna. È qui che si capisce se una persona è pronta per
una relazione di questo tipo. Se non riesce a essere chiara o se tende a
manipolare, la fiducia crolla prima ancora di iniziare.
Poi c’è il tema dei ruoli e di come questi possano
sovrapporsi. È un argomento delicato. Perché. Diciamocelo, siamo tutti umani.
Una dominatrice non è sempre fredda e in controllo, e un sottomesso non è
sempre docile e pronto ad obbedire. Fuori dal gioco, siamo persone con vite
normali, emozioni, problemi. Ma se i ruoli si confondono troppo, le cose
possono diventare complicate. Ti faccio un esempio: se una dominatrice inizia a
dipendere emotivamente dal suo sottomesso, rischia di perdere quella sicurezza
che la rende il punto di riferimento nel gioco. Allo stesso modo, se un sottomesso
cerca nella dominatrice una figura che risolva tutti i suoi problemi, la
relazione può diventare pesante e squilibrata. È qui che bisogna fermarsi e
chiedersi:” Qual è il confine tra gioco e realtà? E questo confine lo stiamo
rispettando?”
Non è facile. C’è sempre il rischio di creare aspettative
non dette. Il sottomesso potrebbe pensare che la dominatrice debba essere
sempre disponibile, mentre lei potrebbe sentirsi sopraffatta dal dover
mantenere costantemente un ruolo. È per questo che, secondo me, serve una sorta
di equilibrio. Una dominatrice deve sapere quando abbassare la maschera e
prendersi cura di sé stessa. E un
sottomesso deve ricordare che, anche se vive quel rapporto in modo
totalizzante, ci sono dei confini che non devono essere superati. La chiave è
parlarsi, sempre.
Un altro aspetto della sovrapposizione dei ruoli, e forse
uno dei più delicati, è quando una delle due parti crede di essersi innamorata
dell’altra. Premetto che a me non è mai successo di provare qualcosa del genere,
ma ho avuto situazioni in cui alcune persone che venivano da me hanno iniziato
a riversare su di me i loro desideri, le loro fantasie, forse anche i loro
bisogni irrisolti, e li hanno interpretati come amore. Ma, riflettendoci, credo
che non fosse vero amore. Più che altro, penso fosse una sorta di
idealizzazione. Quando una persona si affida a te in una dinamica Dom/sub,
soprattutto se è sottomessa, può proiettare su di te tutta una serie di
emozioni: ammirazione, soggezione, gratitudine, e queste emozioni, che nel
contesto del gioco possono essere molto intense, a volte vengono confuse con
qualcosa di più profondo, come l’amore.
Il problema è che il BDSM, proprio per la sua natura, crea
un ambiente molto intenso, quasi una bolla in cui le emozioni si amplificano.
Durante una sessione si crea una connessione profonda, un legame che può
sembrare unico, quasi magico. Ed è facile, per qualcuno che vive quel momento
dall’interno, pensare: “Sto provando qualcosa di speciale, quindi deve essere
amore.” Ma il più delle volte, non lo è. E’ un insieme di emozioni amplificate
dalla dinamica di potere, dalla fiducia che si costruisce, dalla cura che la
dominatrice offre. È questa idealizzazione è comprensibile: nel ruolo della
dominatrice, sei forte, sicura, sei quel punto fermo che molti cercano. Ma
questo non significa che ci sia amore vero. Significa, piuttosto, che hai
colmato un bisogno, che hai risposto ad un desiderio. Per me è importante
mantenere chiari i confini. Perché se permetti che questi sentimenti crescano
senza affrontarli, rischi di danneggiare la fiducia e l’equilibrio su cui tutto
si basa, e soprattutto, rischi che l’altra persona soffra inutilmente.
E poi c’è l’aftercare, che non solo chiedere come sta l’altra persona. Io lo intendo in un modo un po’ diverso rispetto al senso più comune. Non sono una persona “da coccole” o eccessivamente affettuosa dopo una sessione. Per me Il mio modo di prendermi cura dello schiavo è diverso: è più pratico, più mentale, più legato a al tempo e al dialogo. Io, ad esempio, se c’è tempo, e la situazione lo permette preparo pranzo dopo una sessione. Ci sediamo insieme. Mangiamo, chiacchieriamo. È un momento per metabolizzare le emozioni, per rilassarsi e trovare un equilibrio. È un modo per dire: “Va tutto bene, adesso torniamo con i piedi per terra, ma lo facciamo insieme” C’è qualcosa nella cucina, nei gesti del preparare e del condividere il cibo, che aiuta a creare un ambiente sicuro, familiare. È cura, ma in un senso più ampio: prendersi il tempo per stare insieme, abbassare le difese e far sedimentare quello che è successo. Penso che sia fondamentale. Non si può lasciare una sessione “sospesa”, come se fosse solo un momento isolato. Se invece non c’è tempo o l’altra persona deve andare, mi fermo comunque a chiacchierare. Non c’è bisogno di parlare necessariamente della sessione, anzi, il più delle volte preferisco non farlo subito. Sai perché? Perché subito dopo una sessione si vive ancora sull’onda emotiva, e quello che si prova in quel momento è spesso amplificato. Ci si sente in alto o in basso, a seconda delle dinamiche, ma non è mai una visione chiara: E’ per questo che chiedo sempre di scrivermi il giorno dopo: Voglio sapere come stanno, ma voglio che le emozioni siano sedimentate, solo così posso avere una visione e un feedback reale e non guidato dal momento. Questo è fondamentale per me, capire cosa è rimasto, quali sensazioni hanno avuto il tempo di radicarsi, cosa ha funzionato e cosa no.
In questo modo; l’aftercare non diventa solo
un momento, ma una continuità, è il ponte tra il gioco e la vita reale, ed qui
che si costruisce quel legame speciale che rende il BDSM qualcosa di unico. Non
è una coccola fatta di carezze, ma una cura che passa attraverso il dialogo, il
rispetto dei tempi e una riflessione condivisa. È un approccio più mentale, ma
credo sia altrettanto importante, se non di più
Ma attenzione: tutto questo richiede maturità e
consapevolezza. Una dominatrice deve essere preparata, sapere cosa sta
facendo. E un sottomesso deve essere
altrettanto consapevole dei suoi bisogni e dei suoi limiti. Non si può
improvvisare. Perché quando si confondono troppo i ruoli, si rischia di
distruggere quel fragile equilibrio su cui tutto si basa. In fondo, la
dominazione non è una questione di fruste o catene. È una questione di fiducia.
Ed è una fiducia che va guadagnata, protetta e mai data per scontata.
Lady Altea
domenica 5 gennaio 2025
Il Cast fetish: tra gioco, estetica e rispetto
Non si tratta solo di “ingessature” o “fasciature”, è molto
di più. È un mondo di estetica, emozione e complicità. È il Cast Fetish.
Che cos’è il cast fetish?
Il cast fetish, o feticismo per le ingessature, è una
passione di nicchia che combina l’attrazione estetica per il gesso o le
fasciature con dinamiche emotive e relazionali. Il cast fetish non è mai una
realtà univoca. Si manifesta in modi diversi, a seconda di chi lo vive:
ESTETICA E SENSAZIONI VISIVE: L’aspetto del gesso, la
bellezza dei dettagli come le dita che spuntano o il piede fasciato. La
rigidità che avvolge il corpo, la forma che modella un arto, il contrasto tra
pelle e gesso. Tutto questo crea un’immagine di immobilità che molti trovano
affascinante
DINAMICHE DI CURA: La relazione tra chi indossa il gesso e
chi se ne prende cura, creando un senso di intimità e connessione emotiva. Chi
vive questa passione spesso trova soddisfazione nel prendersi cura di un
partner “ingessato” o “fasciato”, offrendo supporto e attenzione.
GIOCO E FANTASIA: Il piacere di immaginare e vivere
situazioni quotidiane in cui il gesso o la fasciatura diventano parte
integrante del contesto. La creazione di fasciature ben fatte, senza grinze,
rappresenta un elemento di perfezione che valorizza il piacere estetico. Alcuni
amano simulare situazioni realistiche, come un infortunio immaginario
Per molti, il cast fetish nasce da esperienze infantili.
Alcuni ricordano di aver visto un gesso in TV o nella vita reale e di esserne
rimasti affascinati. Altri raccontano di aver giocato con bende o fasciature da
piccoli, senza sapere che questo interesse si sarebbe trasformato in qualcosa
di più profondo con il tempo. L’attrazione spesso non è immediatamente
compresa. Chi la vive può sentirsi confuso, isolato, chiedendosi se sia “normale”.
Ma con il tempo, molti riescono a scoprire e accettare questa parte di sé,
grazie al supporto delle comunità online. Con l’avvento di internet, il cast
fetish ha trovato una dimensione globale. Forum, gruppi sui social e
piattaforme dedicate hanno permesso a molte persone di condividere esperienze,
racconti e tecniche. Non si tratta solo di un luogo di scambio, ma di una rete
di supporto dove chi vive questa passione può trovare comprensione e
accettazione.
Eventi come il CastCamp* o semplici incontri tra appassionati
dimostrano quanto questa passione sia variegata e creativa. Alcuni si
concentrano sull’estetica, altri sul gioco. Altri ancora sulla connessione
emotiva che ne deriva.
Come in ogni pratica legata al feticismo, il rispetto e il consenso
sono fondamentali. Chi vive il cast fetish sa che la separazione tra fantasia e
realtà è cruciale: le simulazioni e i giochi devono sempre avvenire in un contesto
consensuale e rispettoso. La maggior parte delle persone che vive il cast
fetish non è attratta dal dolore o dalla sofferenza. E’ l’immobilità, la cura e
l’estetica a generare piacere.
Però, non si può ignorare l’esistenza di pratiche estreme.
In rari casi, alcune persone cercano situazioni di sofferenza reale, come
caviglie gonfie o arti tumefatti. Questi comportamenti rappresentano una
deviazione patologica e non rispecchiano la maggioranza di chi vive questa
passione.
Se tu che mi leggi senti di appartenere a questo mondo, sappi
che non sei solo. Il tuo desiderio non è qualcosa da nascondere, ma una parte
di te che può arricchirti, se vissuta con consapevolezza e rispetto.
Questo post è un invito ad aprire la mente e guardare senza
pregiudizi. Ogni passione, quando vissuta con etica e consenso, merita di
essere compresa e rispettata. Il cast fetish non fa eccezione: è una finestra
sulla bellezza della diversità umana.
Un messaggio di
RISPETTO per chi potrebbe sentirsi offeso
E’ importante sottolineare che il cast fetish, vissuto come
fantasia o gioco consensuale, non intende mai mancare di rispetto a chi
affranta reali difficoltà fisiche o handicap. L’attrazione non è rivolta alla
sofferenza, ma a un’immagine estetica, un simbolismo che nulla toglie alla
dignità di chi vive situazioni mediche reali. Chi pratica o si avvicina a
questo mondo ha il dovere di essere consapevole di queste sensibilità e di
adottare un approccio che non ferisca chi potrebbe sentirsi toccato da queste
dinamiche. In fondo, ogni gioco e fantasia può essere vissuto con leggerezza e
rispetto, senza mai ignorare il valore umano e l’empatia verso gli altri
Lady Altea
*Il Cast Camp è un evento internazionale dedicato agli appassionati del cast fetish; offrendo un’opportunità unica per incontrarsi, condividere esperienze e partecipare a attività tematiche in ambiente sicuro e consensuale. L’edizione del CastCamp 2025 è programmata dal !° all’8 febbraio 2025 nella regione del mare del nord a Blåvand, Danimarca. Partecipare a eventi come il CastCamp può essere un’esperienza arricchente per chi desidera approfondire la propria passione, incontrare persone con interessi simili e vivere momenti di condivisione in un contesto accogliente e rispettoso
venerdì 3 gennaio 2025
Hair Queen: dove la cura diventa arte
Un ambiente che accoglie e racconta
Un’esperienza di totale abbandono
E poi arriva la trasformazione. Aprire gli occhi e vedersi allo specchio non significa solo notare un cambiamento estetico. È un piacere più profondo: sentirsi più leggeri, rigenerati, pronti a ripartire.
Ester: il braccio destro di Alessia
Un rifugio per chi cerca una pausa
Per me, abituata a essere sempre in controllo, Hair Queen è stato un momento di stacco vero. Non perché ci sia qualcosa di magico, ma perché Alessia e Ester offrono quello che abbiamo dimenticato: il tempo di fermarci. Una pausa che ti permette di scaricare le tensioni e di ricaricare le energie. I problemi, ovviamente, restano. Ma li affronti con una carica diversa, con uno spirito rinnovato. Esci di lì rigenerato, pronto ad affrontare ciò che ti aspetta con una forza nuova.
La ritualità e il feticismo dei capelli
Hair Queen non è solo un luogo dove si curano i capelli o si perfeziona un look. È un luogo che richiama una ritualità che molti di noi hanno dimenticato. Per chi vive il feticismo dei capelli, questa esperienza si intreccia con memorie profonde: il rumore delle forbici che tagliano, il profumo di un balsamo, il suono dell’acqua che scorre e il calore di un asciugamano posato sul viso.Questi dettagli non sono semplici componenti di un servizio, ma elementi di un rituale che coinvolge i sensi e risveglia emozioni. Fermarsi per vivere un’esperienza come questa non è un lusso, ma un atto necessario per rigenerarsi e ricaricarsi.
Un invito a rallentare
E allora, perché non permettersi di rallentare, di vivere queste coccole come una pausa preziosa? Non è solo un taglio, una rasatura o un trattamento: è un momento per fermarsi, per ascoltare, per respirare. Hair Queen ci ricorda che, a volte, la bellezza si trova nella semplicità dei gesti e nella profondità delle emozioni che essi regalano.
Uscendo da lì, mi sono sentita diversa, più leggera. Per una volta, avevo lasciato fuori le tensioni e mi sentivo pronta a ripartire, con una forza che solo un’esperienza così autentica può regalare.
https://hairqueen.it/
martedì 31 dicembre 2024
La vita è una riflessione continua
Quest’anno, molti di voi mi hanno raccontato le vostre storie. Mi avete
parlato di successi, di dolori, di domande che vi tormentano. Mi avete cercata,
forse per trovare un ordine nel caos o un porto sicuro dove lasciare scivolare
le maschere che indossate ogni giorno. È questo che trovo meraviglioso nel
nostro mondo: la possibilità di mettersi a nudo, non solo fisicamente, ma
emotivamente, per cercare una verità che non sempre si ha il coraggio di
affrontare altrove. Ovviamente, non con tutti c’è stato questo incontro
idilliaco. Alcune esperienze non sono andate come avrei sperato, e ci sono
state situazioni che hanno portato a una chiusura. Ma anche questo fa parte del
cammino. Ogni relazione, anche quelle interrotte, è un’occasione per imparare e
crescere. Spero che anche dall’altra parte possano vedere queste esperienze non
come fallimenti, ma come passaggi necessari verso qualcosa di più autentico.
Non è mai troppo tardi per iniziare a riflettere, per chiedersi: “Sto
seguendo davvero la mia verità? Sto vivendo secondo i miei valori, oppure
lascio che siano gli altri a definire chi sono e cosa desidero?” Nella vita, l’autenticità è il vero traguardo. E raggiungerla è un viaggio, non
una meta. Quindi, mentre brindiamo all’anno nuovo, ricordiamoci che i bilanci
non spettano a una data sul calendario. Sono parte di un processo costante, un
dialogo interiore che ci accompagna ogni giorno. Non aspettate il prossimo
dicembre per chiedervi cosa desiderate o cosa dovete lasciare andare. Fatelo
oggi, e domani, e ogni volta che il cuore ve lo chiede.
Perché alla fine, non è il momento della riflessione a dare valore alla
nostra vita. È il modo in cui usiamo quelle riflessioni per crescere, per
essere più veri, più liberi.
Auguro a tutti voi un anno pieno di verità e scoperte, dentro e fuori di voi
stessi.
Lady Altea
giovedì 26 dicembre 2024
Femminilizzazione e travestitismo: due realtà simili, ma non uguali
Mi è stato chiesto più volte quale sia la differenza tra femminilizzazione e travestitismo. Quella che segue è la mia interpretazione personale, frutto di ciò che ho compreso negli anni.
Femminilizzazione:
La femminilizzazione è un concetto ampio, che non si limita all’indossare abiti considerati femminili. Include gesti, atteggiamenti e, talvolta, comportamenti. Non implica necessariamente un cambiamento di identità di genere: molte persone la vivono come un’esplorazione di parti di sé, senza sentirsi meno uomini o dover rinunciare alla propria mascolinità.
Travestitismo:
Nel travestitismo, il centro dell’esperienza è l’abbigliamento. Ci si veste con abiti del genere opposto per piacere estetico, per curiosità, per esplorare la propria sessualità o come parte di una fantasia. Spesso rimane un’esperienza legata al “cambio di vestiti”, senza necessariamente influenzare comportamenti o ruoli sociali.
Parlare di queste tematiche significa entrare in un mondo ricco di sfumature e ramificazioni. Ad esempio, esistono le sissy maid o altri percorsi che permettono di esprimere il proprio lato femminile o di giocare con l’identità e l’immagine di sé. Ogni storia è unica e racchiude vissuti, desideri e bisogni differenti. Spesso, femminilizzazione e travestitismo vengono ridotti a una questione di abiti e apparenze, trascurando l’aspetto psicologico e relazionale che accompagna queste esperienze.
Oltre l’aspetto estetico
Molti tendono a pensare che chi pratica il travestitismo o la femminilizzazione sia motivato esclusivamente dal desiderio di vestirsi da donna. In realtà, queste pratiche possono racchiudere un universo di motivazioni, che variano da persona a persona.
1. Gioco di ruolo: alcune persone vivono la femminilizzazione come parte di una dinamica ludica, per sperimentare qualcosa di diverso nella vita di coppia o in contesti più ampi, ad esempio nel BDSM.
2. Esplorazione identitaria: per altri, rappresenta un modo per avvicinarsi ad aspetti della propria identità, non necessariamente transgender, che sentono poco espressi nella quotidianità.
3. Ricerca di libertà espressiva: c’è chi vede nella femminilizzazione o nel travestitismo una forma di emancipazione dai ruoli di genere più rigidi, un modo per sentirsi liberi di giocare con il proprio corpo, la propria immagine e il proprio vissuto.
La femminilizzazione, quindi, non è solo un cambio d’abito. Può includere anche l’acquisizione o l’emulazione di gesti, comportamenti, tono di voce e atteggiamenti considerati femminili. Per alcuni, è un percorso profondo. Chi la sperimenta può riscoprire un senso di delicatezza o dolcezza che magari non si sente libero di manifestare nella vita quotidiana.
In un contesto di coppia, la femminilizzazione può diventare un gioco che rafforza la complicità. Nel BDSM, invece, assume spesso connotati di sottomissione, dove la femminilità diventa un modo per mettere in luce il proprio lato più vulnerabile e remissivo. Nel travestitismo, invece, l’elemento centrale rimane il “cambio di vestiti”: l’adozione di indumenti e accessori percepiti come femminili (o maschili, nel caso inverso). Anche questa esperienza, però, può avere diverse profondità:
1. Piacere estetico: alcuni lo praticano per semplice gusto personale, trovando belli e attraenti quei capi, indipendentemente dal giudizio altrui.
2. Fantasia erotica: per altri, la dimensione sessuale è importante, e l’indossare abiti del sesso opposto diventa un vero e proprio feticcio.
3. Interesse sporadico: c’è chi lo vive come un’esperienza occasionale, legata a feste, eventi a tema o momenti di intimità, senza dargli un significato identitario più ampio.
Condivisione e dialogo
Chi si avvicina a queste pratiche condivide spesso un desiderio di apertura: poter parlare liberamente, confrontarsi con altre persone che vivono esperienze simili, scambiare consigli, paure e curiosità. Attraverso il dialogo, si scopre che non esiste un solo modo giusto o sbagliato di vivere la femminilizzazione o il travestitismo, ma tante possibilità quante sono le persone che li sperimentano.
Sebbene femminilizzazione e travestitismo possano sembrare etichette semplici, dietro di esse si nasconde un mondo di sfumature, emozioni e significati. È fondamentale ricordare che ogni percorso è personale e unico, e che non si finisce mai di imparare o scoprire qualcosa di nuovo su di sé.
Se queste righe ti hanno incuriosito, sentiti libero/a di approfondire, fare domande o condividere la tua esperienza. Il confronto aiuta tutti a comprendere meglio noi stessi e gli altri, ricordandoci che non esiste un’unica verità, ma tante prospettive diverse.
Lady Altea
giovedì 19 dicembre 2024
La vigilessa
Questo racconto è rivolto a un pubblico adulto e descrive situazioni legate al mondo BDSM, con particolare attenzione al gioco tra dominazione e sottomissione. Le pratiche descritte, come il bondage o la rasatura, richiedono una conoscenza approfondita e una grande attenzione. E’ essenziale che chiunque voglia esplorare questi mondi lo faccia con consapevolezza, rispetto reciproco e in pieno accordo tra le parti. Un gioco che può essere fonte di piacere e di connessione è profonda, ma se condotto senza la giusta preparazione può trasformarsi in un’esperienza rischiosa o addirittura pericolosa. Ricordate: il BDSM è prima di tutto consapevolezza, rispetto, sicurezza.
La vigilessa: un taglio alle maschere
Le assistenti stanno
finendo di riordinare, Mirella è l’ultima ad uscire, resterà solo quei dieci
minuti necessari a preparare il lavaggio. Puntuale come un orologio, Irene
entra con passo sicuro. Ci salutiamo con un bacio sulle guance. Sento subito
un’atmosfera frizzante: in lei c’è qualcosa di diverso, di elettrico. Mentre si
accomoda al lavatesta noto il suo sorriso malizioso.” Non vedevo l’ora di
venire” sussurra. Ha uno sguardo vivido, penetrante, carico di una strana
euforia. E io sono curioso. Quando Mirella va via, restiamo finalmente soli.
Irene si sistema sulla poltrona del taglio, la testa rilassata, pronta a
sentire la vibrazione familiare della macchinetta scorrere sulla testa, per
lei, il ronzio costante della macchinetta è come un rumore bianco, capace di
calmarla e trasportarla in uno stato di rilassamento profondo. Alcuni clienti
mi dicono che il suono della macchinetta evoca ricordi d’infanzia o momenti di
cura personale, intensificando il piacere dell’esperienza.
“Devo raccontarti una
cosa incredibile” dice, la voce lieve ma vibrante. “Mi è successa la settimana
scorsa, ancora stento a crederci…” Sorrido: “C’è di mezzo una donna?” Irene fa
un cenno divertito: “Oh, una donna? No, no. Una super donna.” Il suo tono si fa
più caldo. “Ma prima fammi il taglio, poi ti racconto. Sono sicura che quando
saprai i dettagli ti ecciterai. Per non rovinarmi la pettinatura, meglio
procedere adesso. Poi andiamo al pub qui vicino, ho fame.” Annuisco: “Ok, anche
io ho fame.” E attacco con la macchinetta.
Irene chiude gli occhi,
godendosi la vibrazione sulla pelle e il ronzio rilassante che la avvolge.
Mentre si rilassa penso a quanti segreti abbiamo condiviso, quante scene
vissute. “Mi domando cosa avrà da raccontarmi questa volta. Irene non è certo
una che si trattiene: ogni volta riesce a sorprendermi, e non vedo l’ora di
scoprire che cosa è successo.”
Finito il taglio,
chiudo il negozio e ci dirigiamo al pub. Non appena ci sediamo con la birra
davanti, Irene si accende una sigaretta. Non sta più nella pelle, e io non vedo
l’ora di scoprire questa storia. “mercoledì scorso” inizia, “c’erano le targhe
alterne. Lo sai, io sono vigilessa e controllavo le auto con targa dispari in
piazza San Carlo. Verso le 10, vedo una Mercedes con targa dispari sfrecciare.
La fermo. Al volante c’è una donna bellissima: capelli rossi, occhi verdi,
un’eleganza naturale. Lei mi fissa, sorride di circostanza e si scusa dicendo
che conosceva la regola, ma doveva per forza venire in centro, era in ritardo
per un lavoro urgentissimo.” Mentre Irene parla, immagino la scena. Irene in
divisa, austera, la donna rossa nel suo tailleur. Una tensione fatta di
sguardi. Irene continua: “Mi chiede di essere gentile, promette che avrebbe
mandato un commesso a pagare la multa. Quel suo tono di superiorità, quell’aria
da ‘io sono importante, fammi passare’, mi ha urtata. Così, per metterla al suo
posto, le ho fatto accostare e ho iniziato la procedura: patente, libretto… Lei
ha provato a protestare: “Ma sono di fretta!” E io: “Signora, la legge è uguale
per tutti. Ho assunto il mio tono più fermo, da vera dominatrice.”
A questo punto, Irene
abbassa un po’ la voce, come se volesse gustarsi ogni parola: “La vedo
diventare rossa in viso. All’inizio penso sia rabbia. Ma poi sento qualcosa di
diverso nella sua voce, un tremolio dolce, quasi arrendevole. In quel momento,
dentro di me si accende la padrona. Mi diverto a elencare le sue mancanze, a
farle sentire la mia autorità. Lei tace, testa bassa, in silenzio per dieci
interminabili minuti. Quando le ho consegnato il verbale, ho aggiunto un ultimo
rimprovero: “La prossima volta non sarò così gentile” Lei è salita in macchina
a testa china, mormorando un flebile “Mi scusi”.
La mia mente è già in
subbuglio. Immagino quella donna bellissima, abituata a comandare, ora muta, in
imbarazzo. Irene la descrive con un accenno di bramosia nelle parole. “Dopo il
turno” prosegue Irene, “alle 13 sono andata al bar a mangiare un panino, e chi
trovo? Lei, circondata da uomini in giacca e cravatta. Appena mi vede, si
avvicina di nuovo e si scusa, questa volta con più calma. Io, sempre rigida, rispondo:
“Un po’ di educazione non guasta.” Lei, invece di irritarsi, quasi si confida:
“Vorrei che i miei collaboratori avessero la sua grinta, ma sono degli smidollati,
dei leccapiedi. A volte vorrei qualcuno che mi facesse sentire il polso
duro!”
Ho intuito che non stava solo
cercando comprensione, ma qualcosa di più profondo. Credimi, le si leggeva negli
occhi. È lei a propormi un incontro: “Posso offrirle un drink per scusarmi? “Io
le dico: “Smetto alle 16, ci vediamo qui.” Lei sorride, soddisfatta.”
Penso a Irene che, dopo
queste parole, avrà diretto il traffico sognando quello che sarebbe successo.
La guardo, e vedo che anche ora, raccontando, è eccitata. Ha le guance
lievemente arrossate. Io stesso sento una vibrazione salire lungo la schiena.
“Alle 16 entro nel bar. Lei mi aspetta. Mi siedo, mi spiega: “Non mi
fraintenda, non invito mai vigilesse al bar, ma stamattina, quando mi ha
trattata così, mi è successa una cosa strana:” Sembrava imbarazzata. Ha
continuato: “Sono divorziata da sei anni. Da allora mi sento attratta dalle
donne, e mi piacciono dure, cattive. Nel lavoro comando, ma nel privato voglio
essere sottomessa. Adoro le divise… le donne con capelli corti, vagamente
militari come lei. “Lo so, magari mi prenderà per pazza, ma ho sentito il
bisogno di dirle queste cose. Non so perché, ma con lei mi sento al sicuro.”
Non credevo alle mie orecchie:
una donna manager, sottomessa. Alle 17.30 eravamo già a casa mia. Lei, nuda,
legata al letto. Dopo un’ora di mio trattamento fatto di baci, frusta, cera
calda, mollette e vibratori, la sua voce rotta dal piacere mi ha detto le
parole che adoro: “Fammi quello che vuoi, ti amo!’ A quel punto le ho chiesto
in tono deciso ma carico di curiosità: “Ti faresti rasare tutta?” per un attimo
ho visto il suo corpo irrigidirsi, come se cercasse il coraggio per rispondere.
Tremante, con voce roca, ha sussurrato: “Sì, anche i capelli.”
L’ho slegata, l’ho
portata in bagno. Era ancora visibilmente eccitata, il suo corpo tremava
leggermente. ” Spogliati completamente,” ho ordinato, e lei ha obbedito senza
esitazioni, rimanendo nuda davanti a me. Ho preso una corda e le ho bloccato le
braccia allo schienale della sedia, poi le ho immobilizzato le caviglie. “Da
buona schiava”, ho notato con un sorriso compiaciuto mentre prendevo un fallo
di gomma e lo infilavo lentamente nella sua vagina, osservando ogni suo
fremito. La sua pelle sembrava reagire a ogni gesto, come se fosse
ipersensibile al tocco. Poi ho stretto il suo seno con una corda, legandola in
modo da far gonfiare i seni rendendoli ancora più sensibili. La pelle intorno
ai capezzoli era tesa, e il colore divenne di un rosso intenso. Quando ho terminato,
l’ho posizionata davanti ad uno specchio:” Guardati! “ho detto con voce fredda
ma compiaciuta.
Si osservava, il corpo
legato e il fallo ancora dentro di lei. I suoi occhi si riempirono di
eccitazione e un fremito di piacere la attraversò. Ho preso un pettine e ho
iniziato a passarlo lentamente tra i suoi capelli rossi, come a volerle far
sentire il contrasto tra la dolcezza di quel gesto e ciò che stava per accadere
Mi sono posizionata
dietro di lei, prendendo un respiro profondo per stabilizzare le mani. Le dita
si sono chiuse saldamente intorno alla macchinetta, ma il cuore mi batteva
forte, quasi troppo per mantenere la calma che volevo trasmettere. Ho alzato la
macchinetta, il ronzio pulsava nell’aria, e con voce ferma le ho ordinato: “Non
muoverti!”
L’ho detto con
autorità, senza esitazioni, ma dentro di me c’era un misto di eccitazione e
controllo. Lei ha respirato a fondo, deglutendo lentamente, il suono quasi
impercettibile ma evidente nella tensione del suo collo. I suoi occhi, chiusi,
sembravano cercare un punto di equilibrio tra paura e resa. Poi ha annuito,
lentamente, con un movimento appena accennato, come se ogni millimetro fosse un
passo verso un abisso che desiderava esplorare.
Avvicinai la
macchinetta alla sua testa. Il primo contatto fu lieve, quasi esitante, ma il
ronzio si amplificò mentre la guidavo lungo la sua fronte, tracciando una linea
netta tra la massa di capelli e la pelle liscia sottostante. Il contrasto era
affascinante, quasi ipnotico. Ogni passata lasciava un sentiero di pelle nuda
che sembrava reagire, increspandosi leggermente sotto il tocco vibrante della
macchinetta. Lei tremava appena, il suo corpo rispondeva con piccoli fremiti,
ma rimaneva immobile e obbediente. I capelli scivolavano giù a ciocche spesse,
atterrando silenziosamente sul pavimento come foglie che si staccano da un
albero in autunno. Ogni movimento era lento, calcolato.
Il ronzio della
macchinetta cambiava lievemente intonazione a seconda della densità dei capelli
che attraversava, creando un ritmo che si mescolava ai suoi respiri, profondi,
quasi sincroni. Mi fermai un istante, osservando ciò che avevo creato: avevo
lasciato intenzionalmente una corolla di capelli rossi intorno alla sua testa,
come quella di un clown. Mi chinai accanto a lei, fissando il suo riflesso
nello specchio. “Guardati,” le sussurrai con tono tagliente. “Pensa se ti vedessero
i tuoi collaboratori, quelli che tratti male. Che cosa direbbero? Tu, che
comandi tutti con il pugno di ferro, ora ridotta così. Mi piacerebbe davvero
che fossero qui” Le sue guance si tinsero di rosso mentre un gemito soffocato
sfuggiva dalle sue labbra sigillate dal cerotto. La sua umiliazione era
evidente, ma lo era anche il piacere che provava. Non attesi troppo. Ho
continuato, passando di nuovo la macchinetta sulla testa, cancellando ogni
traccia di quei capelli clowneschi fino a che non rimasero solo sottili ombre
di capelli sulla pelle.
“Stai bene?” le ho
chiesto, interrompendo un momento la rasatura. Lei ha aperto un occhio, lo
sguardo vitreo, e ha sussurrato: “Sì, padrona. Mi sento… libera*.”
Quelle parole mi hanno
fatto sorridere, le ho infilato le sue mutande in bocca e sigillato le labbra
con un cerotto adesivo. e ho continuato a rasare, passando con cura sulla
sommità del capo e poi sui lati, seguendo la forma della sua testa. Ogni curva,
ogni movimento sembrava parte di un rito, e io ero completamente immersa in
quella danza di controllo e trasformazione. Quando ho terminato con la
macchinetta, c’era solo una leggera ombra di capelli sulla testa, come un
ricordo ormai sbiadito. Ho spento il dispositivo e l’ho appoggiato sul tavolo
accanto. Poi ho preso la crema da barba e l’ho applicata con dolcezza. La
schiuma bianca creava un contrasto ancora più netto con la sua pelle arrossata.
Ogni passata del rasoio era lenta, deliberata, e rivelava una pelle liscia e
lucida, perfetta nella sua semplicità. Ogni tanto i suoi fremiti erano più
evidenti, piccoli gemiti soffocati sfuggivano dalla sua bocca, e il suo respiro
si faceva più profondo.
Ora le raso anche le
sopracciglia. Non oppone nessuna resistenza, ormai succube di ogni mio
desiderio. Le spalmo la schiuma da barba anche sul viso. Prendo il bilama e lo
passo ovunque, anche sul viso. Rado tutto. Passo e ripasso il rasoio. La pelle
si arrossisce leggermente. “Voglio vederti domani, se la tua arroganza sarà
ancora la tua arma preferita.”
Le ho passato un panno
caldo sulla testa, rimuovendo ogni residuo di schiuma da barba, poi ho versato
un po’ di olio lenitivo sulle mani e ho iniziato a massaggiare il suo cuoio
capelluto. La pelle arrossata reagiva al mio tocco, lucida e perfettamente liscia,
mentre lei emetteva piccoli gemiti, quasi impercettibili, che rivelavano la sua
totale resa. “Guardati” le ho ordinato, girandola verso lo specchio. “sei come voglio
che tu sia: perfetta, umiliata e completamente mia.” I suoi occhi si sono
riempiti di lacrime mentre osservava il suo riflesso: la testa rasata che
brillava sotto la luce, il viso trasformato, segnato da un’espressione che
mescolava vergogna ed estasi. Le sono passata accanto, piegandomi verso il suo orecchio,
e le ho sussurrato con voce gelida:” Hai finito di venire *salopa? O vuoi
continuare a dimostrarmi quanto sei una maiala?” Lei ha abbassato lo sguardo,
un fremito attraversava il suo corpo, ancora legato alla sedia. Non ha
risposto, ma il rossore che le tingeva le guance era eloquente.
Lì ho liberata con
calma, slegando prima le braccia e poi le caviglie, osservandola mentre restava
immobile, troppo scossa per muoversi da sola. Quando ho tolto il cerotto dalle
sue labbra, il suo respiro era lento, rauco, quasi spezzato. “Padrona, la
prego,” ha sussurrato con voce roca e supplicante, posso leccarla tutta? “Non
aspettavo altro. Senza risponderle, mi sono seduta su una sedia accanto a lei,
proprio tra i capelli che avevo appena tagliato, sparsi come un tappeto sul
pavimento. Ho afferrato la sua testa rasata con entrambe le mani, tirandola
dolcemente ma con fermezza verso di me. Il contatto della sua pelle liscia
contro le mie cosce era indescrivibile, un misto di freddo e calore, di forza e
vulnerabilità. L’ho guardata con gesti sicuri, posizionandola esattamente dove
volevo.” Adesso dimostrami quanto sei devota, “le ho detto, spingendo la sua
testa ancora più in profondità tra le mie gambe. Il contrasto tra la sensazione
della sua testa rasata e il mio corpo era così intenso che per un attimo ho
chiuso gli occhi, lasciandomi trasportare.
Ogni movimento che
faceva era lento, misurato quasi reverenziale. La sua lingua seguiva percorsi
che sembravano studiati, ma che in realtà erano pura istintività.
La pressione della sua
testa contro di me aumentava, e io affondavo le dita nella sua pelle liscia, accarezzandola,
godendo del controllo assoluto che avevo su di lei.
Quando finalmente mi
sono lasciata andare, esplodendo in un potente orgasmo, ho sollevato leggermente
la sua testa, costringendola a fermarsi. le ho guardato il viso, segnato da
sudore e desiderio, i suoi occhi pieni di una devozione che non lasciava spazio
ai dubbi. “Brava, salopa,” le ho detto con un sorriso soddisfatto, “ora sai
qual è il tuo posto!”
Mi sono alzata, soddisfatta,
lasciandola inginocchiata, ancora tremante per tutto ciò che aveva vissuto. Mi
sono girata verso lo specchio. Osservando il mio lavoro, e ho sorriso. Lei con
voce roca, ha sussurrato un ultimo:” grazie Padrona”.
Io invece, sono rimasto
con la forchetta a mezz’aria, fissandola incredulo. Il suo racconto mi aveva
totalmente catturato, al punto da farmi dimenticare la fame e persino il tempo,
Irene sorrideva soddisfatta, accendendosi un’altra sigaretta. “ azz che
storia”, le ho detto, cercando di mascherare l ‘imbarazzo dietro un sorriso malizioso.
Lei ha riso, divertita dalla mia reazione, e ha fatto un gesto teatrale con la
mano. “Aspetta Vitt, non è finita qui, ho una sorpresa.”
Prima che potessi
rispondere, la porta del pub si è aperta, e una donna alta, elegante, con la
testa completamente rasata e un trucco impeccabile, è entrata con passo sicuro.
I suoi occhi verdi erano ipnotici, e l’aria di superiorità che emanava era in
netto contrasto con il suo aspetto umile e obbediente. Si è avvicinata al
nostro tavolo, abbassando leggermente la testa “Buonasera Padrona, Buonasera
Padrone,” ha detto con voce sommessa, fissandomi con uno sguardo pieno di rispetto.
I suoi occhi, verdi e profondi, sembravano scrutarmi, e per un momento ho
percepito una deferenza cosi sincera da lasciarmi spiazzato. Non era un gioco,
non era un’esibizione. Era autentico.
Irene, accanto a me, sorrideva
compiaciuta, incrociando le braccia:” te l’avevo detto Vitt che non era solo
una storia,” ha detto con un tono che mescolava provocazione e complicità,
studiando ogni mia reazione.
Olga rimase in piedi,
composta, con un’eleganza naturale che sembrava contraddire il ruolo che le era
stato assegnato.”
“Che ne dici?” Irene
continuò, inclinando leggermente la testa verso di me. “Hai voglia di scoprire
fino a dove può arrivare questa notte?” Non risposi subito. Cercavo di
processare ciò che stava accadendo, il significato di quello sguardo. Di quelle
parole. Olga, come se capisse il mio tentennamento, abbassò lievemente gli occhi
in un gesto di rispetto, ma senza mai perdere la sua compostezza.
“La macchina è pronta,”
disse con una voce tranquilla e sicura, rivolta principalmente a Irene. Poi,
voltandosi verso di me, aggiunse con un sorriso enigmatico:” Se decide di
unirsi a noi, Padrone.”
Irene si alzò con
calma, e mi guardò. “Questa notte potrebbe essere più interessante di quanto
immagini.”
Non risposi subito, ma
mi alzai con calma, il mio sguardo che sfiorava il suo per un attimo. “Andiamo,
“dissi semplicemente, ma con tono che non ammetteva repliche.
Fuori, la Mercedes di Olga ci aspettava. Lei aprì la
portiera posteriore con grazia, lasciando che io e Irene prendessimo posto. Una
volta a bordo, Irene mi osservò per un attimo, con uno sguardo che parlava più
di mille parole: complicità, sfida e un pizzico di curiosità.
“Benvenuto nel nostro mondo, Vittorio,” disse con un
sorriso sottile, ma la sua voce portava con sé un invito chiaro,
un’anticipazione che non lasciava spazio a dubbi.
Mi sistemai sul sedile, lasciando che la macchina
partisse. Non ero lì per caso, e lo sapevo bene. Non era solo curiosità a
spingermi, ma una naturale predisposizione a comprendere e guidare situazioni
come questa. La dinamica tra di noi si sarebbe definita presto, ma non c’era
fretta. La notte era giovane, e ogni cosa avrebbe trovato il suo tempo e il suo
spazio. Sapevo leggere l’animo umano, ogni respiro trattenuto, ogni tensione
nel corpo. Era una parte naturale di me, non qualcosa che dovevo dimostrare.
Non era una sfida, né un confronto. Era una scoperta reciproca, un terreno che
avremmo condiviso e plasmato insieme. Mentre la macchina correva nel silenzio
della notte, il mio sguardo si alternava tra Irene e Olga. Non ero lì per
essere spettatore. Quella notte avrebbe preso forma, e sapevo che in qualche
modo sarebbe rimasta impressa in tutti noi.
*Quando la
donna sussurra di sentirsi “libera”, si apre uno spiraglio su una realtà
complessa e profondamente personale. La libertà, in questo contesto, non è un
concetto assoluto né un’esperienza universale. Non tutti trovano libertà nella
sottomissione, così come non tutti trovano appagamento nel controllo. Ogni
individuo ha un proprio modo di vivere il piacere, l’intimità e l’espressione
di sé, e queste dinamiche funzionano solo per chi sente di appartenervi, in un
equilibrio unico e irripetibile.
Per chi le
vive, queste esperienze non sono mai una fuga dalla quotidianità o dai problemi
personali, né un semplice “gioco” privo di significato. Sono piuttosto una
ricerca profonda, che tocca corde intime e nascoste. La sottomissione, per
alcuni, è la possibilità di mettere da parte il bisogno costante di controllare
tutto, di abbandonarsi completamente a qualcun altro, sapendo che quel qualcuno
agirà con rispetto, cura e attenzione. È una forma di fiducia radicale, un atto
di connessione che permette di esplorare la propria vulnerabilità in modo
sicuro e consensuale.
Ma non è
solo una questione di libertà dalla responsabilità. È anche un modo di scoprire
nuove parti di sé, di mettersi in gioco in un contesto che rompe le regole
della quotidianità e consente di vivere qualcosa di unico. Per altri, invece,
la libertà si trova nel ruolo opposto: nel dominare, nel prendersi cura di chi
si affida, nell’assumersi il carico emotivo e psicologico di guidare
un’esperienza così intensa.
*Salopa: Ha 2 significati: uno è porcellina" l'altro "puttana dal francese Salop
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