Questo racconto è rivolto a un pubblico adulto e descrive situazioni legate al mondo BDSM, con particolare attenzione al gioco tra dominazione e sottomissione. Le pratiche descritte, come il bondage o la rasatura, richiedono una conoscenza approfondita e una grande attenzione. E’ essenziale che chiunque voglia esplorare questi mondi lo faccia con consapevolezza, rispetto reciproco e in pieno accordo tra le parti. Un gioco che può essere fonte di piacere e di connessione è profonda, ma se condotto senza la giusta preparazione può trasformarsi in un’esperienza rischiosa o addirittura pericolosa. Ricordate: il BDSM è prima di tutto consapevolezza, rispetto, sicurezza.
La vigilessa: un taglio alle maschere
Le assistenti stanno
finendo di riordinare, Mirella è l’ultima ad uscire, resterà solo quei dieci
minuti necessari a preparare il lavaggio. Puntuale come un orologio, Irene
entra con passo sicuro. Ci salutiamo con un bacio sulle guance. Sento subito
un’atmosfera frizzante: in lei c’è qualcosa di diverso, di elettrico. Mentre si
accomoda al lavatesta noto il suo sorriso malizioso.” Non vedevo l’ora di
venire” sussurra. Ha uno sguardo vivido, penetrante, carico di una strana
euforia. E io sono curioso. Quando Mirella va via, restiamo finalmente soli.
Irene si sistema sulla poltrona del taglio, la testa rilassata, pronta a
sentire la vibrazione familiare della macchinetta scorrere sulla testa, per
lei, il ronzio costante della macchinetta è come un rumore bianco, capace di
calmarla e trasportarla in uno stato di rilassamento profondo. Alcuni clienti
mi dicono che il suono della macchinetta evoca ricordi d’infanzia o momenti di
cura personale, intensificando il piacere dell’esperienza.
“Devo raccontarti una
cosa incredibile” dice, la voce lieve ma vibrante. “Mi è successa la settimana
scorsa, ancora stento a crederci…” Sorrido: “C’è di mezzo una donna?” Irene fa
un cenno divertito: “Oh, una donna? No, no. Una super donna.” Il suo tono si fa
più caldo. “Ma prima fammi il taglio, poi ti racconto. Sono sicura che quando
saprai i dettagli ti ecciterai. Per non rovinarmi la pettinatura, meglio
procedere adesso. Poi andiamo al pub qui vicino, ho fame.” Annuisco: “Ok, anche
io ho fame.” E attacco con la macchinetta.
Irene chiude gli occhi,
godendosi la vibrazione sulla pelle e il ronzio rilassante che la avvolge.
Mentre si rilassa penso a quanti segreti abbiamo condiviso, quante scene
vissute. “Mi domando cosa avrà da raccontarmi questa volta. Irene non è certo
una che si trattiene: ogni volta riesce a sorprendermi, e non vedo l’ora di
scoprire che cosa è successo.”
Finito il taglio,
chiudo il negozio e ci dirigiamo al pub. Non appena ci sediamo con la birra
davanti, Irene si accende una sigaretta. Non sta più nella pelle, e io non vedo
l’ora di scoprire questa storia. “mercoledì scorso” inizia, “c’erano le targhe
alterne. Lo sai, io sono vigilessa e controllavo le auto con targa dispari in
piazza San Carlo. Verso le 10, vedo una Mercedes con targa dispari sfrecciare.
La fermo. Al volante c’è una donna bellissima: capelli rossi, occhi verdi,
un’eleganza naturale. Lei mi fissa, sorride di circostanza e si scusa dicendo
che conosceva la regola, ma doveva per forza venire in centro, era in ritardo
per un lavoro urgentissimo.” Mentre Irene parla, immagino la scena. Irene in
divisa, austera, la donna rossa nel suo tailleur. Una tensione fatta di
sguardi. Irene continua: “Mi chiede di essere gentile, promette che avrebbe
mandato un commesso a pagare la multa. Quel suo tono di superiorità, quell’aria
da ‘io sono importante, fammi passare’, mi ha urtata. Così, per metterla al suo
posto, le ho fatto accostare e ho iniziato la procedura: patente, libretto… Lei
ha provato a protestare: “Ma sono di fretta!” E io: “Signora, la legge è uguale
per tutti. Ho assunto il mio tono più fermo, da vera dominatrice.”
A questo punto, Irene
abbassa un po’ la voce, come se volesse gustarsi ogni parola: “La vedo
diventare rossa in viso. All’inizio penso sia rabbia. Ma poi sento qualcosa di
diverso nella sua voce, un tremolio dolce, quasi arrendevole. In quel momento,
dentro di me si accende la padrona. Mi diverto a elencare le sue mancanze, a
farle sentire la mia autorità. Lei tace, testa bassa, in silenzio per dieci
interminabili minuti. Quando le ho consegnato il verbale, ho aggiunto un ultimo
rimprovero: “La prossima volta non sarò così gentile” Lei è salita in macchina
a testa china, mormorando un flebile “Mi scusi”.
La mia mente è già in
subbuglio. Immagino quella donna bellissima, abituata a comandare, ora muta, in
imbarazzo. Irene la descrive con un accenno di bramosia nelle parole. “Dopo il
turno” prosegue Irene, “alle 13 sono andata al bar a mangiare un panino, e chi
trovo? Lei, circondata da uomini in giacca e cravatta. Appena mi vede, si
avvicina di nuovo e si scusa, questa volta con più calma. Io, sempre rigida, rispondo:
“Un po’ di educazione non guasta.” Lei, invece di irritarsi, quasi si confida:
“Vorrei che i miei collaboratori avessero la sua grinta, ma sono degli smidollati,
dei leccapiedi. A volte vorrei qualcuno che mi facesse sentire il polso
duro!”
Ho intuito che non stava solo
cercando comprensione, ma qualcosa di più profondo. Credimi, le si leggeva negli
occhi. È lei a propormi un incontro: “Posso offrirle un drink per scusarmi? “Io
le dico: “Smetto alle 16, ci vediamo qui.” Lei sorride, soddisfatta.”
Penso a Irene che, dopo
queste parole, avrà diretto il traffico sognando quello che sarebbe successo.
La guardo, e vedo che anche ora, raccontando, è eccitata. Ha le guance
lievemente arrossate. Io stesso sento una vibrazione salire lungo la schiena.
“Alle 16 entro nel bar. Lei mi aspetta. Mi siedo, mi spiega: “Non mi
fraintenda, non invito mai vigilesse al bar, ma stamattina, quando mi ha
trattata così, mi è successa una cosa strana:” Sembrava imbarazzata. Ha
continuato: “Sono divorziata da sei anni. Da allora mi sento attratta dalle
donne, e mi piacciono dure, cattive. Nel lavoro comando, ma nel privato voglio
essere sottomessa. Adoro le divise… le donne con capelli corti, vagamente
militari come lei. “Lo so, magari mi prenderà per pazza, ma ho sentito il
bisogno di dirle queste cose. Non so perché, ma con lei mi sento al sicuro.”
Non credevo alle mie orecchie:
una donna manager, sottomessa. Alle 17.30 eravamo già a casa mia. Lei, nuda,
legata al letto. Dopo un’ora di mio trattamento fatto di baci, frusta, cera
calda, mollette e vibratori, la sua voce rotta dal piacere mi ha detto le
parole che adoro: “Fammi quello che vuoi, ti amo!’ A quel punto le ho chiesto
in tono deciso ma carico di curiosità: “Ti faresti rasare tutta?” per un attimo
ho visto il suo corpo irrigidirsi, come se cercasse il coraggio per rispondere.
Tremante, con voce roca, ha sussurrato: “Sì, anche i capelli.”
L’ho slegata, l’ho
portata in bagno. Era ancora visibilmente eccitata, il suo corpo tremava
leggermente. ” Spogliati completamente,” ho ordinato, e lei ha obbedito senza
esitazioni, rimanendo nuda davanti a me. Ho preso una corda e le ho bloccato le
braccia allo schienale della sedia, poi le ho immobilizzato le caviglie. “Da
buona schiava”, ho notato con un sorriso compiaciuto mentre prendevo un fallo
di gomma e lo infilavo lentamente nella sua vagina, osservando ogni suo
fremito. La sua pelle sembrava reagire a ogni gesto, come se fosse
ipersensibile al tocco. Poi ho stretto il suo seno con una corda, legandola in
modo da far gonfiare i seni rendendoli ancora più sensibili. La pelle intorno
ai capezzoli era tesa, e il colore divenne di un rosso intenso. Quando ho terminato,
l’ho posizionata davanti ad uno specchio:” Guardati! “ho detto con voce fredda
ma compiaciuta.
Si osservava, il corpo
legato e il fallo ancora dentro di lei. I suoi occhi si riempirono di
eccitazione e un fremito di piacere la attraversò. Ho preso un pettine e ho
iniziato a passarlo lentamente tra i suoi capelli rossi, come a volerle far
sentire il contrasto tra la dolcezza di quel gesto e ciò che stava per accadere
Mi sono posizionata
dietro di lei, prendendo un respiro profondo per stabilizzare le mani. Le dita
si sono chiuse saldamente intorno alla macchinetta, ma il cuore mi batteva
forte, quasi troppo per mantenere la calma che volevo trasmettere. Ho alzato la
macchinetta, il ronzio pulsava nell’aria, e con voce ferma le ho ordinato: “Non
muoverti!”
L’ho detto con
autorità, senza esitazioni, ma dentro di me c’era un misto di eccitazione e
controllo. Lei ha respirato a fondo, deglutendo lentamente, il suono quasi
impercettibile ma evidente nella tensione del suo collo. I suoi occhi, chiusi,
sembravano cercare un punto di equilibrio tra paura e resa. Poi ha annuito,
lentamente, con un movimento appena accennato, come se ogni millimetro fosse un
passo verso un abisso che desiderava esplorare.
Avvicinai la
macchinetta alla sua testa. Il primo contatto fu lieve, quasi esitante, ma il
ronzio si amplificò mentre la guidavo lungo la sua fronte, tracciando una linea
netta tra la massa di capelli e la pelle liscia sottostante. Il contrasto era
affascinante, quasi ipnotico. Ogni passata lasciava un sentiero di pelle nuda
che sembrava reagire, increspandosi leggermente sotto il tocco vibrante della
macchinetta. Lei tremava appena, il suo corpo rispondeva con piccoli fremiti,
ma rimaneva immobile e obbediente. I capelli scivolavano giù a ciocche spesse,
atterrando silenziosamente sul pavimento come foglie che si staccano da un
albero in autunno. Ogni movimento era lento, calcolato.
Il ronzio della
macchinetta cambiava lievemente intonazione a seconda della densità dei capelli
che attraversava, creando un ritmo che si mescolava ai suoi respiri, profondi,
quasi sincroni. Mi fermai un istante, osservando ciò che avevo creato: avevo
lasciato intenzionalmente una corolla di capelli rossi intorno alla sua testa,
come quella di un clown. Mi chinai accanto a lei, fissando il suo riflesso
nello specchio. “Guardati,” le sussurrai con tono tagliente. “Pensa se ti vedessero
i tuoi collaboratori, quelli che tratti male. Che cosa direbbero? Tu, che
comandi tutti con il pugno di ferro, ora ridotta così. Mi piacerebbe davvero
che fossero qui” Le sue guance si tinsero di rosso mentre un gemito soffocato
sfuggiva dalle sue labbra sigillate dal cerotto. La sua umiliazione era
evidente, ma lo era anche il piacere che provava. Non attesi troppo. Ho
continuato, passando di nuovo la macchinetta sulla testa, cancellando ogni
traccia di quei capelli clowneschi fino a che non rimasero solo sottili ombre
di capelli sulla pelle.
“Stai bene?” le ho
chiesto, interrompendo un momento la rasatura. Lei ha aperto un occhio, lo
sguardo vitreo, e ha sussurrato: “Sì, padrona. Mi sento… libera*.”
Quelle parole mi hanno
fatto sorridere, le ho infilato le sue mutande in bocca e sigillato le labbra
con un cerotto adesivo. e ho continuato a rasare, passando con cura sulla
sommità del capo e poi sui lati, seguendo la forma della sua testa. Ogni curva,
ogni movimento sembrava parte di un rito, e io ero completamente immersa in
quella danza di controllo e trasformazione. Quando ho terminato con la
macchinetta, c’era solo una leggera ombra di capelli sulla testa, come un
ricordo ormai sbiadito. Ho spento il dispositivo e l’ho appoggiato sul tavolo
accanto. Poi ho preso la crema da barba e l’ho applicata con dolcezza. La
schiuma bianca creava un contrasto ancora più netto con la sua pelle arrossata.
Ogni passata del rasoio era lenta, deliberata, e rivelava una pelle liscia e
lucida, perfetta nella sua semplicità. Ogni tanto i suoi fremiti erano più
evidenti, piccoli gemiti soffocati sfuggivano dalla sua bocca, e il suo respiro
si faceva più profondo.
Ora le raso anche le
sopracciglia. Non oppone nessuna resistenza, ormai succube di ogni mio
desiderio. Le spalmo la schiuma da barba anche sul viso. Prendo il bilama e lo
passo ovunque, anche sul viso. Rado tutto. Passo e ripasso il rasoio. La pelle
si arrossisce leggermente. “Voglio vederti domani, se la tua arroganza sarà
ancora la tua arma preferita.”
Le ho passato un panno
caldo sulla testa, rimuovendo ogni residuo di schiuma da barba, poi ho versato
un po’ di olio lenitivo sulle mani e ho iniziato a massaggiare il suo cuoio
capelluto. La pelle arrossata reagiva al mio tocco, lucida e perfettamente liscia,
mentre lei emetteva piccoli gemiti, quasi impercettibili, che rivelavano la sua
totale resa. “Guardati” le ho ordinato, girandola verso lo specchio. “sei come voglio
che tu sia: perfetta, umiliata e completamente mia.” I suoi occhi si sono
riempiti di lacrime mentre osservava il suo riflesso: la testa rasata che
brillava sotto la luce, il viso trasformato, segnato da un’espressione che
mescolava vergogna ed estasi. Le sono passata accanto, piegandomi verso il suo orecchio,
e le ho sussurrato con voce gelida:” Hai finito di venire *salopa? O vuoi
continuare a dimostrarmi quanto sei una maiala?” Lei ha abbassato lo sguardo,
un fremito attraversava il suo corpo, ancora legato alla sedia. Non ha
risposto, ma il rossore che le tingeva le guance era eloquente.
Lì ho liberata con
calma, slegando prima le braccia e poi le caviglie, osservandola mentre restava
immobile, troppo scossa per muoversi da sola. Quando ho tolto il cerotto dalle
sue labbra, il suo respiro era lento, rauco, quasi spezzato. “Padrona, la
prego,” ha sussurrato con voce roca e supplicante, posso leccarla tutta? “Non
aspettavo altro. Senza risponderle, mi sono seduta su una sedia accanto a lei,
proprio tra i capelli che avevo appena tagliato, sparsi come un tappeto sul
pavimento. Ho afferrato la sua testa rasata con entrambe le mani, tirandola
dolcemente ma con fermezza verso di me. Il contatto della sua pelle liscia
contro le mie cosce era indescrivibile, un misto di freddo e calore, di forza e
vulnerabilità. L’ho guardata con gesti sicuri, posizionandola esattamente dove
volevo.” Adesso dimostrami quanto sei devota, “le ho detto, spingendo la sua
testa ancora più in profondità tra le mie gambe. Il contrasto tra la sensazione
della sua testa rasata e il mio corpo era così intenso che per un attimo ho
chiuso gli occhi, lasciandomi trasportare.
Ogni movimento che
faceva era lento, misurato quasi reverenziale. La sua lingua seguiva percorsi
che sembravano studiati, ma che in realtà erano pura istintività.
La pressione della sua
testa contro di me aumentava, e io affondavo le dita nella sua pelle liscia, accarezzandola,
godendo del controllo assoluto che avevo su di lei.
Quando finalmente mi
sono lasciata andare, esplodendo in un potente orgasmo, ho sollevato leggermente
la sua testa, costringendola a fermarsi. le ho guardato il viso, segnato da
sudore e desiderio, i suoi occhi pieni di una devozione che non lasciava spazio
ai dubbi. “Brava, salopa,” le ho detto con un sorriso soddisfatto, “ora sai
qual è il tuo posto!”
Mi sono alzata, soddisfatta,
lasciandola inginocchiata, ancora tremante per tutto ciò che aveva vissuto. Mi
sono girata verso lo specchio. Osservando il mio lavoro, e ho sorriso. Lei con
voce roca, ha sussurrato un ultimo:” grazie Padrona”.
Io invece, sono rimasto
con la forchetta a mezz’aria, fissandola incredulo. Il suo racconto mi aveva
totalmente catturato, al punto da farmi dimenticare la fame e persino il tempo,
Irene sorrideva soddisfatta, accendendosi un’altra sigaretta. “ azz che
storia”, le ho detto, cercando di mascherare l ‘imbarazzo dietro un sorriso malizioso.
Lei ha riso, divertita dalla mia reazione, e ha fatto un gesto teatrale con la
mano. “Aspetta Vitt, non è finita qui, ho una sorpresa.”
Prima che potessi
rispondere, la porta del pub si è aperta, e una donna alta, elegante, con la
testa completamente rasata e un trucco impeccabile, è entrata con passo sicuro.
I suoi occhi verdi erano ipnotici, e l’aria di superiorità che emanava era in
netto contrasto con il suo aspetto umile e obbediente. Si è avvicinata al
nostro tavolo, abbassando leggermente la testa “Buonasera Padrona, Buonasera
Padrone,” ha detto con voce sommessa, fissandomi con uno sguardo pieno di rispetto.
I suoi occhi, verdi e profondi, sembravano scrutarmi, e per un momento ho
percepito una deferenza cosi sincera da lasciarmi spiazzato. Non era un gioco,
non era un’esibizione. Era autentico.
Irene, accanto a me, sorrideva
compiaciuta, incrociando le braccia:” te l’avevo detto Vitt che non era solo
una storia,” ha detto con un tono che mescolava provocazione e complicità,
studiando ogni mia reazione.
Olga rimase in piedi,
composta, con un’eleganza naturale che sembrava contraddire il ruolo che le era
stato assegnato.”
“Che ne dici?” Irene
continuò, inclinando leggermente la testa verso di me. “Hai voglia di scoprire
fino a dove può arrivare questa notte?” Non risposi subito. Cercavo di
processare ciò che stava accadendo, il significato di quello sguardo. Di quelle
parole. Olga, come se capisse il mio tentennamento, abbassò lievemente gli occhi
in un gesto di rispetto, ma senza mai perdere la sua compostezza.
“La macchina è pronta,”
disse con una voce tranquilla e sicura, rivolta principalmente a Irene. Poi,
voltandosi verso di me, aggiunse con un sorriso enigmatico:” Se decide di
unirsi a noi, Padrone.”
Irene si alzò con
calma, e mi guardò. “Questa notte potrebbe essere più interessante di quanto
immagini.”
Non risposi subito, ma
mi alzai con calma, il mio sguardo che sfiorava il suo per un attimo. “Andiamo,
“dissi semplicemente, ma con tono che non ammetteva repliche.
Fuori, la Mercedes di Olga ci aspettava. Lei aprì la
portiera posteriore con grazia, lasciando che io e Irene prendessimo posto. Una
volta a bordo, Irene mi osservò per un attimo, con uno sguardo che parlava più
di mille parole: complicità, sfida e un pizzico di curiosità.
“Benvenuto nel nostro mondo, Vittorio,” disse con un
sorriso sottile, ma la sua voce portava con sé un invito chiaro,
un’anticipazione che non lasciava spazio a dubbi.
Mi sistemai sul sedile, lasciando che la macchina
partisse. Non ero lì per caso, e lo sapevo bene. Non era solo curiosità a
spingermi, ma una naturale predisposizione a comprendere e guidare situazioni
come questa. La dinamica tra di noi si sarebbe definita presto, ma non c’era
fretta. La notte era giovane, e ogni cosa avrebbe trovato il suo tempo e il suo
spazio. Sapevo leggere l’animo umano, ogni respiro trattenuto, ogni tensione
nel corpo. Era una parte naturale di me, non qualcosa che dovevo dimostrare.
Non era una sfida, né un confronto. Era una scoperta reciproca, un terreno che
avremmo condiviso e plasmato insieme. Mentre la macchina correva nel silenzio
della notte, il mio sguardo si alternava tra Irene e Olga. Non ero lì per
essere spettatore. Quella notte avrebbe preso forma, e sapevo che in qualche
modo sarebbe rimasta impressa in tutti noi.
*Quando la
donna sussurra di sentirsi “libera”, si apre uno spiraglio su una realtà
complessa e profondamente personale. La libertà, in questo contesto, non è un
concetto assoluto né un’esperienza universale. Non tutti trovano libertà nella
sottomissione, così come non tutti trovano appagamento nel controllo. Ogni
individuo ha un proprio modo di vivere il piacere, l’intimità e l’espressione
di sé, e queste dinamiche funzionano solo per chi sente di appartenervi, in un
equilibrio unico e irripetibile.
Per chi le
vive, queste esperienze non sono mai una fuga dalla quotidianità o dai problemi
personali, né un semplice “gioco” privo di significato. Sono piuttosto una
ricerca profonda, che tocca corde intime e nascoste. La sottomissione, per
alcuni, è la possibilità di mettere da parte il bisogno costante di controllare
tutto, di abbandonarsi completamente a qualcun altro, sapendo che quel qualcuno
agirà con rispetto, cura e attenzione. È una forma di fiducia radicale, un atto
di connessione che permette di esplorare la propria vulnerabilità in modo
sicuro e consensuale.
Ma non è
solo una questione di libertà dalla responsabilità. È anche un modo di scoprire
nuove parti di sé, di mettersi in gioco in un contesto che rompe le regole
della quotidianità e consente di vivere qualcosa di unico. Per altri, invece,
la libertà si trova nel ruolo opposto: nel dominare, nel prendersi cura di chi
si affida, nell’assumersi il carico emotivo e psicologico di guidare
un’esperienza così intensa.
*Salopa: Ha 2 significati: uno è porcellina" l'altro "puttana dal francese Salop