lunedì 20 gennaio 2025

Subspace e Topspace : un viaggio condiviso

 


C’è una magia silenziosa che accade durante una sessione BDSM, una trasformazione che non è solo fisica ma soprattutto mentale. Non si tratta semplicemente di seguire un copione o di interpretare un ruolo: è un incontro intimo con sé stessi attraverso l’altro. È qui che entrano in gioco due stati di flusso emotivo, profondamente diversi ma complementari: il subspace e il topspace. Due esperienze che, in modi opposti, conducono a una verità personale intensa e spesso inaspettata.

Per chi lo vive, il subspace è un viaggio verso l’interno, un luogo in cui tutto si dissolve: ansie, pensieri, aspettative. Rimane solo il momento presente, un presente che sembra sospeso, quasi irreale.Il mio  schiavo mi ha parlato spesso di questo stato, e ogni volta il racconto cambia nelle sfumature, ma non nell’essenza. Un giorno, un altro schiavo, mi ha detto con un filo di voce: “È come se smettessi di esistere come persona, ma non in modo negativo. Mi sento libero di essere solo un corpo, una sensazione, qualcosa che appartiene a te. Non devo fare nulla, non devo decidere nulla. Mi lascio galleggiare in un mondo che crei tu.”

E un altro, con gli occhi ancora persi nell’intensità della sessione, ha sussurrato: “Sento che il mio respiro dipende dal tuo. È come essere sott’acqua, ma è la pressione che mi fa sentire vivo. È la tua presenza che mi tiene al sicuro.”Il subspace non è debolezza, né semplice abbandono. È un dono. È la capacità di fidarsi a tal punto da lasciare il controllo a qualcun altro, sapendo che quella persona non lo userà mai per ferirti, ma per portarti dove da solo non riusciresti ad andare.

Il Topspace, è per me, il cuore pulsante di ogni sessione.È difficile da spiegare, ma ogni volta che entro in quello stato, è come se qualcosa in me si accendesse. Non c’è spazio per i dubbi o le distrazioni, tutto si concentra sull’altro, sul momento. Ogni respiro che sento, ogni tremore sotto le mie mani, diventa parte di una sinfonia che sto dirigendo.Non è potere fine a sé stesso, non è dominio sterile. È responsabilità, è cura. Sentire che qualcuno si affida a me con tutto sé stesso mi dà una forza che non trovo altrove. Ma non è un controllo rigido: è un fluire continuo, come se fossi in dialogo con l’altra persona, anche quando nessuno di noi due parla.Mi piace osservare i dettagli: il modo in cui gli occhi dello schiavo si abbassano, il ritmo del suo respiro che cambia, la tensione che si scioglie a ogni comando. È lì che trovo la mia forza, nel vedere che ogni gesto che faccio lo guida verso qualcosa di nuovo, qualcosa che forse non sapeva nemmeno di cercare.E poi, c’è quel momento. Lo riconosco sempre. Lo sguardo che diventa diverso, più profondo. È lì che capisco di essere riuscita a condurlo dove voleva, dove aveva bisogno di andare, anche se non lo sapeva. E in quel momento, io stessa mi sento completa.Quando la sessione si avvia alla conclusione, sia il subspace che il topspace iniziano a dissolversi, ma non di colpo. È un passaggio lento, come il calare di un sipario. Ci troviamo di nuovo semplicemente noi, senza ruoli, senza barriere.Non sempre mi lascio andare a gesti fisici. Gli abbracci, lo ammetto, non sono il mio modo naturale di esprimere affetto. Non perché non ne sia capace, ma perché ho sempre avuto una sorta di barriera emotiva nei confronti del contatto fisico troppo spontaneo. Non è freddezza, non sono un robot privo di emozioni. È semplicemente un aspetto di me, un limite che riconosco e che a volte scelgo di superare. Ma quello che offro in quei momenti non è meno autentico. Un sorriso, uno scambio di parole leggere, un piccolo gesto. Sono modi per dire: Sono qui, ti vedo, ti riconosco. Il subspace e il topspace non si esauriscono nella sessione, lasciano qualcosa che rimane, che entrambi portiamo con noi. Per lo schiavo, può essere un senso di leggerezza o una nuova consapevolezza. Per me è la certezza di aver dato qualcosa di significativo, ma anche di aver ricevuto. Ogni gesto, ogni emozione condivisa diventa parte di me, mi nutre mi da forza. Non sono solo una guida, sono parte di questo viaggio, e ne traggo a mia volta un potere che nasce dall’intensità di una connessione autentica                

Non è solo un gioco di ruoli. È un viaggio, un incontro con l’altro e con se stessi. E per quanto intenso, non è mai pesante. Perché, alla fine, tutto ciò che resta è la verità. E la verità, per quanto complessa, è sempre liberatoria.

Lady Altea

giovedì 9 gennaio 2025

SVILUPPO DELLA FIDUCIA TRA DOM E SUB E RISCHI CONNESSI ALLA SOVRAPPOSIZIONE DEI RUOLI

 


Quando si parla di fiducia tra una dominatrice e un sottomesso, entriamo nel cuore di ciò che rende il BDSM diverso da un semplice gioco o da una fantasia. È una relazione, che sia breve o a lungo termine, basata su una connessione profonda, su un accordo chiaro e su una comunicazione onesta. Ma questa fiducia, per quanto essenziale, non si costruisce in un giorno. Richiede tempo, pazienza e anche una certa vulnerabilità da entrambe le parti (per vulnerabilità intendo la capacità di mostrarsi autentici, senza maschere, esponendo desideri e paure).

Pensa a quando conosci una persona nuova, non ti fidi di lei subito, no? Prima ascolti cosa ha da dire, osservi come si comporta, magari metti alla prova quello che ti racconta. Ecco, in una relazione Dom/sub, è la stessa cosa, ma amplificata. Perché qui non stai solo condividendo un caffè o una chiacchierata: stai mettendo in gioco i tuoi desideri più profondi, i tuoi limiti, le tue fantasie. E questo richiede una base solida, una certezza che l’altra persona saprà rispettarti.  Un elemento che aiuta tantissimo è la comunicazione chiara. Non si può essere ambigui quando si parla di limiti e aspettative. Cosa vuoi? Cosa non vuoi assolutamente? Quali sono le tue paure? Tutto questo deve essere discusso apertamente, senza vergogna. È qui che si capisce se una persona è pronta per una relazione di questo tipo. Se non riesce a essere chiara o se tende a manipolare, la fiducia crolla prima ancora di iniziare.

Poi c’è il tema dei ruoli e di come questi possano sovrapporsi. È un argomento delicato. Perché. Diciamocelo, siamo tutti umani. Una dominatrice non è sempre fredda e in controllo, e un sottomesso non è sempre docile e pronto ad obbedire. Fuori dal gioco, siamo persone con vite normali, emozioni, problemi. Ma se i ruoli si confondono troppo, le cose possono diventare complicate. Ti faccio un esempio: se una dominatrice inizia a dipendere emotivamente dal suo sottomesso, rischia di perdere quella sicurezza che la rende il punto di riferimento nel gioco. Allo stesso modo, se un sottomesso cerca nella dominatrice una figura che risolva tutti i suoi problemi, la relazione può diventare pesante e squilibrata. È qui che bisogna fermarsi e chiedersi:” Qual è il confine tra gioco e realtà? E questo confine lo stiamo rispettando?”

Non è facile. C’è sempre il rischio di creare aspettative non dette. Il sottomesso potrebbe pensare che la dominatrice debba essere sempre disponibile, mentre lei potrebbe sentirsi sopraffatta dal dover mantenere costantemente un ruolo. È per questo che, secondo me, serve una sorta di equilibrio. Una dominatrice deve sapere quando abbassare la maschera e prendersi cura di sé stessa.  E un sottomesso deve ricordare che, anche se vive quel rapporto in modo totalizzante, ci sono dei confini che non devono essere superati. La chiave è parlarsi, sempre.

Un altro aspetto della sovrapposizione dei ruoli, e forse uno dei più delicati, è quando una delle due parti crede di essersi innamorata dell’altra. Premetto che a me non è mai successo di provare qualcosa del genere, ma ho avuto situazioni in cui alcune persone che venivano da me hanno iniziato a riversare su di me i loro desideri, le loro fantasie, forse anche i loro bisogni irrisolti, e li hanno interpretati come amore. Ma, riflettendoci, credo che non fosse vero amore. Più che altro, penso fosse una sorta di idealizzazione. Quando una persona si affida a te in una dinamica Dom/sub, soprattutto se è sottomessa, può proiettare su di te tutta una serie di emozioni: ammirazione, soggezione, gratitudine, e queste emozioni, che nel contesto del gioco possono essere molto intense, a volte vengono confuse con qualcosa di più profondo, come l’amore. 

Il problema è che il BDSM, proprio per la sua natura, crea un ambiente molto intenso, quasi una bolla in cui le emozioni si amplificano. Durante una sessione si crea una connessione profonda, un legame che può sembrare unico, quasi magico. Ed è facile, per qualcuno che vive quel momento dall’interno, pensare: “Sto provando qualcosa di speciale, quindi deve essere amore.” Ma il più delle volte, non lo è. E’ un insieme di emozioni amplificate dalla dinamica di potere, dalla fiducia che si costruisce, dalla cura che la dominatrice offre. È questa idealizzazione è comprensibile: nel ruolo della dominatrice, sei forte, sicura, sei quel punto fermo che molti cercano. Ma questo non significa che ci sia amore vero. Significa, piuttosto, che hai colmato un bisogno, che hai risposto ad un desiderio. Per me è importante mantenere chiari i confini. Perché se permetti che questi sentimenti crescano senza affrontarli, rischi di danneggiare la fiducia e l’equilibrio su cui tutto si basa, e soprattutto, rischi che l’altra persona soffra inutilmente.

 E poi c’è l’aftercare, che non solo chiedere come sta l’altra persona. Io lo intendo in un modo un po’ diverso rispetto al senso più comune. Non sono una persona “da coccole” o eccessivamente affettuosa dopo una sessione. Per me Il mio modo di prendermi cura dello schiavo è diverso: è più pratico, più mentale, più legato a al tempo e al dialogo. Io, ad esempio, se c’è tempo, e la situazione lo permette         preparo pranzo dopo una sessione. Ci sediamo insieme. Mangiamo, chiacchieriamo. È un momento per metabolizzare le emozioni, per rilassarsi e trovare un equilibrio. È un modo per dire: “Va tutto bene, adesso torniamo con i piedi per terra, ma lo facciamo insieme” C’è qualcosa nella cucina, nei gesti del preparare e del condividere il cibo, che aiuta a creare un ambiente sicuro, familiare. È cura, ma in un senso più ampio: prendersi il tempo per stare insieme, abbassare le difese e far sedimentare quello che è successo. Penso che sia fondamentale. Non si può lasciare una sessione “sospesa”, come se fosse solo un momento isolato. Se invece non c’è tempo o l’altra persona deve andare, mi fermo comunque a chiacchierare. Non c’è bisogno di parlare necessariamente della sessione, anzi, il più delle volte preferisco non farlo subito.      Sai perché? Perché subito dopo una sessione si vive ancora sull’onda emotiva, e quello che si prova in quel momento è spesso amplificato. Ci si sente in alto o in basso, a seconda delle dinamiche, ma non è mai una visione chiara: E’ per questo che chiedo sempre di scrivermi il giorno dopo: Voglio sapere come stanno, ma voglio che le emozioni siano sedimentate, solo così posso avere una visione e un feedback reale e non guidato dal momento. Questo è fondamentale per me, capire cosa è rimasto, quali sensazioni hanno avuto il tempo di radicarsi, cosa ha funzionato e cosa no.                                   

In questo modo; l’aftercare non diventa solo un momento, ma una continuità, è il ponte tra il gioco e la vita reale, ed qui che si costruisce quel legame speciale che rende il BDSM qualcosa di unico. Non è una coccola fatta di carezze, ma una cura che passa attraverso il dialogo, il rispetto dei tempi e una riflessione condivisa. È un approccio più mentale, ma credo sia altrettanto importante, se non di più

Ma attenzione: tutto questo richiede maturità e consapevolezza. Una dominatrice deve essere preparata, sapere cosa sta facendo.  E un sottomesso deve essere altrettanto consapevole dei suoi bisogni e dei suoi limiti. Non si può improvvisare. Perché quando si confondono troppo i ruoli, si rischia di distruggere quel fragile equilibrio su cui tutto si basa. In fondo, la dominazione non è una questione di fruste o catene. È una questione di fiducia. Ed è una fiducia che va guadagnata, protetta e mai data per scontata.


Lady Altea

domenica 5 gennaio 2025

Il Cast fetish: tra gioco, estetica e rispetto

 

La curiosità è un motore potente, capace di portarci in mondi che non avremmo mai immaginato. E’ ciò che mi è successo quando mi sono avvicinata al mondo dell’ingessatura e delle fasciature come forma di gioco. All’inizio, era una semplice ricerca: volevo capire. Conoscere, esplorare. Poi è diventato qualcosa di più. Ho avuto modo di partecipare a giochi in cui l’ingessatura o la fasciatura erano protagoniste, e devo ammettere che mi sono divertita molto. Non tanto per l’aspetto fisico o estetico, ma per l’esperienza stessa: la creatività, la complicità, il lasciarsi andare a qualcosa di inaspettato. Questo articolo nasce da questa esperienza diretta e dalla voglia di approfondire un tema che molti non conoscono o non comprendono.

Non si tratta solo di “ingessature” o “fasciature”, è molto di più. È un mondo di estetica, emozione e complicità. È il Cast Fetish.

Che cos’è il cast fetish?

Il cast fetish, o feticismo per le ingessature, è una passione di nicchia che combina l’attrazione estetica per il gesso o le fasciature con dinamiche emotive e relazionali. Il cast fetish non è mai una realtà univoca. Si manifesta in modi diversi, a seconda di chi lo vive:

ESTETICA E SENSAZIONI VISIVE: L’aspetto del gesso, la bellezza dei dettagli come le dita che spuntano o il piede fasciato. La rigidità che avvolge il corpo, la forma che modella un arto, il contrasto tra pelle e gesso. Tutto questo crea un’immagine di immobilità che molti trovano affascinante

DINAMICHE DI CURA: La relazione tra chi indossa il gesso e chi se ne prende cura, creando un senso di intimità e connessione emotiva. Chi vive questa passione spesso trova soddisfazione nel prendersi cura di un partner “ingessato” o “fasciato”, offrendo supporto e attenzione.

GIOCO E FANTASIA: Il piacere di immaginare e vivere situazioni quotidiane in cui il gesso o la fasciatura diventano parte integrante del contesto. La creazione di fasciature ben fatte, senza grinze, rappresenta un elemento di perfezione che valorizza il piacere estetico. Alcuni amano simulare situazioni realistiche, come un infortunio immaginario

Per molti, il cast fetish nasce da esperienze infantili. Alcuni ricordano di aver visto un gesso in TV o nella vita reale e di esserne rimasti affascinati. Altri raccontano di aver giocato con bende o fasciature da piccoli, senza sapere che questo interesse si sarebbe trasformato in qualcosa di più profondo con il tempo. L’attrazione spesso non è immediatamente compresa. Chi la vive può sentirsi confuso, isolato, chiedendosi se sia “normale”. Ma con il tempo, molti riescono a scoprire e accettare questa parte di sé, grazie al supporto delle comunità online. Con l’avvento di internet, il cast fetish ha trovato una dimensione globale. Forum, gruppi sui social e piattaforme dedicate hanno permesso a molte persone di condividere esperienze, racconti e tecniche. Non si tratta solo di un luogo di scambio, ma di una rete di supporto dove chi vive questa passione può trovare comprensione e accettazione.

Eventi come il CastCamp* o semplici incontri tra appassionati dimostrano quanto questa passione sia variegata e creativa. Alcuni si concentrano sull’estetica, altri sul gioco. Altri ancora sulla connessione emotiva che ne deriva.

Come in ogni pratica legata al feticismo, il rispetto e il consenso sono fondamentali. Chi vive il cast fetish sa che la separazione tra fantasia e realtà è cruciale: le simulazioni e i giochi devono sempre avvenire in un contesto consensuale e rispettoso. La maggior parte delle persone che vive il cast fetish non è attratta dal dolore o dalla sofferenza. E’ l’immobilità, la cura e l’estetica a generare piacere.

Però, non si può ignorare l’esistenza di pratiche estreme. In rari casi, alcune persone cercano situazioni di sofferenza reale, come caviglie gonfie o arti tumefatti. Questi comportamenti rappresentano una deviazione patologica e non rispecchiano la maggioranza di chi vive questa passione.

Se tu che mi leggi senti di appartenere a questo mondo, sappi che non sei solo. Il tuo desiderio non è qualcosa da nascondere, ma una parte di te che può arricchirti, se vissuta con consapevolezza e rispetto.

Questo post è un invito ad aprire la mente e guardare senza pregiudizi. Ogni passione, quando vissuta con etica e consenso, merita di essere compresa e rispettata. Il cast fetish non fa eccezione: è una finestra sulla bellezza della diversità umana.

Un messaggio di RISPETTO per chi potrebbe sentirsi offeso

E’ importante sottolineare che il cast fetish, vissuto come fantasia o gioco consensuale, non intende mai mancare di rispetto a chi affranta reali difficoltà fisiche o handicap. L’attrazione non è rivolta alla sofferenza, ma a un’immagine estetica, un simbolismo che nulla toglie alla dignità di chi vive situazioni mediche reali. Chi pratica o si avvicina a questo mondo ha il dovere di essere consapevole di queste sensibilità e di adottare un approccio che non ferisca chi potrebbe sentirsi toccato da queste dinamiche. In fondo, ogni gioco e fantasia può essere vissuto con leggerezza e rispetto, senza mai ignorare il valore umano e l’empatia verso gli altri

 

Lady Altea

 

 

*Il Cast Camp è un evento internazionale dedicato agli appassionati del cast fetish; offrendo un’opportunità unica per incontrarsi, condividere esperienze e partecipare a attività tematiche in ambiente sicuro e consensuale. L’edizione del CastCamp 2025 è programmata dal !° all’8 febbraio 2025 nella regione del mare del nord a Blåvand, Danimarca. Partecipare a eventi come il CastCamp può essere un’esperienza arricchente per chi desidera approfondire la propria passione, incontrare persone con interessi simili e vivere momenti di condivisione in un contesto accogliente e rispettoso

venerdì 3 gennaio 2025

Hair Queen: dove la cura diventa arte

 


Tra le colline di Pettinengo, esiste un luogo capace di andare oltre la bellezza estetica, è un’esperienza. Hair Queen, la barberia guidata dalla maestria e dalla passione di Alessia , è uno spazio che invita a rallentare, a scaricare le tensioni accumulate e a ritrovare quel senso di equilibrio che spesso perdiamo nella frenesia quotidiana. Appena varcata la soglia, si percepisce immediatamente che questo non è un salone qualsiasi. Alessia, con anni di esperienza e perfezionamento, ha trasformato Hair Queen in un luogo dove ogni dettaglio parla di dedizione, passione e cura. Ogni gesto, ogni prodotto, ogni angolo del salone è pensato per accoglierti e rigenerarti, tutto rispecchia l idea che la bellezza e il benessere meritino tempo e attenzione


Un ambiente che accoglie e racconta


Hair Queen è molto più di un salone: è un viaggio sensoriale. Gli oggetti di antiquariato – rasoi, specchi e strumenti di un tempo – non sono semplici decorazioni, ma raccontano una storia di tradizione e valore. Alessia ha saputo unire questa eredità a uno stile moderno e accogliente, creando un ambiente che respira calore e professionalità. Entrare da Hair Queen significa lasciare fuori tutto ciò che è negativo: rabbia, caos, tensioni. È un approdo sicuro, un luogo dove il mondo si ferma e tu diventi il centro dell’attenzione. Alessia ha iniziato il suo percorso nel 1994, apprendendo l’arte della rasatura e del taglio presso una delle barberie più antiche del biellese. Negli anni ha affinato le sue tecniche, perfezionando ogni dettaglio per offrire un’esperienza che va ben oltre l’estetica. Ogni gesto che compie è frutto di anni di dedizione e miglioramento. Nel 2017, Alessia ha dato vita a Hair Queen, un luogo che incarna la sua visione: la cura di sé non è solo un atto estetico, ma un momento per rigenerare corpo e mente.





Un’esperienza di totale abbandono


Durante la mia visita, Alessia mi ha guidata in un’esperienza che andava ben oltre il taglio di capelli. Ogni gesto era preciso, mai frettoloso, pensato per trasmettere calma e benessere. Mentre chiudevo gli occhi, sentivo il profumo delicato dei prodotti e il tocco esperto delle sue mani. Era come se tutto ciò che era fuori dal salone smettesse di esistere, lasciando spazio a un momento di abbandono totale.

E poi arriva la trasformazione. Aprire gli occhi e vedersi allo specchio non significa solo notare un cambiamento estetico. È un piacere più profondo: sentirsi più leggeri, rigenerati, pronti a ripartire.


Ester: il braccio destro di Alessia 


Accanto ad Alessia c’è Ester, la sua assistente e il suo braccio destro, che con gentilezza e competenza completa questa esperienza unica. Anche un gesto semplice (che potrebbe sembrare semplice a prima vista, richiede in realtà tecnica e sensibilità per essere eseguito nel modo giusto) come il lavaggio dei capelli, sotto le sue mani esperte, diventa una coccola che trasmette calore e attenzione. Insieme, Alessia ed Ester formano una squadra che accoglie ogni cliente con un mix perfetto di professionalità e umanità.




Un rifugio per chi cerca una pausa

Per me, abituata a essere sempre in controllo, Hair Queen è stato un momento di stacco vero. Non perché ci sia qualcosa di magico, ma perché Alessia e Ester offrono quello che abbiamo dimenticato: il tempo di fermarci. Una pausa che ti permette di scaricare le tensioni e di ricaricare le energie. I problemi, ovviamente, restano. Ma li affronti con una carica diversa, con uno spirito rinnovato. Esci di lì rigenerato, pronto ad affrontare ciò che ti aspetta con una forza nuova.


La ritualità e il feticismo dei capelli

Hair Queen non è solo un luogo dove si curano i capelli o si perfeziona un look. È un luogo che richiama una ritualità che molti di noi hanno dimenticato. Per chi vive il feticismo dei capelli, questa esperienza si intreccia con memorie profonde: il rumore delle forbici che tagliano, il profumo di un balsamo, il suono dell’acqua che scorre e il calore di un asciugamano posato sul viso.Questi dettagli non sono semplici componenti di un servizio, ma elementi di un rituale che coinvolge i sensi e risveglia emozioni. Fermarsi per vivere un’esperienza come questa non è un lusso, ma un atto necessario per rigenerarsi e ricaricarsi.


Un invito a rallentare

E allora, perché non permettersi di rallentare, di vivere queste coccole come una pausa preziosa? Non è solo un taglio, una rasatura o un trattamento: è un momento per fermarsi, per ascoltare, per respirare. Hair Queen ci ricorda che, a volte, la bellezza si trova nella semplicità dei gesti e nella profondità delle emozioni che essi regalano.

Uscendo da lì, mi sono sentita diversa, più leggera. Per una volta, avevo lasciato fuori le tensioni e mi sentivo pronta a ripartire, con una forza che solo un’esperienza così autentica può regalare.


https://hairqueen.it/


martedì 31 dicembre 2024

La vita è una riflessione continua

 




Non sono mai stata una persona che ama le scadenze imposte, i riti obbligati o le convenzioni che sembrano dettare quando e come dovremmo fermarci a riflettere. L’ultimo giorno dell’anno è per molti un momento di bilanci, di chiusure e nuovi inizi, ma per me la riflessione non conosce calendario. Ogni giorno è un’opportunità per osservare il proprio cammino, scoprire luci e ombre, e forse, imparare a percorrere la propria strada con maggiore consapevolezza. Nel BDSM, come nella vita, la riflessione è una compagna costante. Ogni interazione, ogni gesto, ogni parola scambiata con chi si affida a noi o ci conduce, è uno specchio che riflette le nostre intenzioni, i nostri desideri, ma anche le nostre fragilità. Il potere, il controllo, l’abbandono: tutto diventa un gioco di specchi che ci mette davanti a chi siamo davvero, senza filtri.

Quest’anno, molti di voi mi hanno raccontato le vostre storie. Mi avete parlato di successi, di dolori, di domande che vi tormentano. Mi avete cercata, forse per trovare un ordine nel caos o un porto sicuro dove lasciare scivolare le maschere che indossate ogni giorno. È questo che trovo meraviglioso nel nostro mondo: la possibilità di mettersi a nudo, non solo fisicamente, ma emotivamente, per cercare una verità che non sempre si ha il coraggio di affrontare altrove. Ovviamente, non con tutti c’è stato questo incontro idilliaco. Alcune esperienze non sono andate come avrei sperato, e ci sono state situazioni che hanno portato a una chiusura. Ma anche questo fa parte del cammino. Ogni relazione, anche quelle interrotte, è un’occasione per imparare e crescere. Spero che anche dall’altra parte possano vedere queste esperienze non come fallimenti, ma come passaggi necessari verso qualcosa di più autentico.

Non è mai troppo tardi per iniziare a riflettere, per chiedersi: “Sto seguendo davvero la mia verità? Sto vivendo secondo i miei valori, oppure lascio che siano gli altri a definire chi sono e cosa desidero?” Nella vita, l’autenticità è il vero traguardo. E raggiungerla è un viaggio, non una meta. Quindi, mentre brindiamo all’anno nuovo, ricordiamoci che i bilanci non spettano a una data sul calendario. Sono parte di un processo costante, un dialogo interiore che ci accompagna ogni giorno. Non aspettate il prossimo dicembre per chiedervi cosa desiderate o cosa dovete lasciare andare. Fatelo oggi, e domani, e ogni volta che il cuore ve lo chiede.

Perché alla fine, non è il momento della riflessione a dare valore alla nostra vita. È il modo in cui usiamo quelle riflessioni per crescere, per essere più veri, più liberi.

 

Auguro a tutti voi un anno pieno di verità e scoperte, dentro e fuori di voi stessi.

Lady Altea

giovedì 26 dicembre 2024

Femminilizzazione e travestitismo: due realtà simili, ma non uguali

 

Mi è stato chiesto più volte quale sia la differenza tra femminilizzazione e travestitismo. Quella che segue è la mia interpretazione personale, frutto di ciò che ho compreso negli anni.

Femminilizzazione:

La femminilizzazione è un concetto ampio, che non si limita all’indossare abiti considerati femminili. Include gesti, atteggiamenti e, talvolta, comportamenti. Non implica necessariamente un cambiamento di identità di genere: molte persone la vivono come un’esplorazione di parti di sé, senza sentirsi meno uomini o dover rinunciare alla propria mascolinità.

Travestitismo:

Nel travestitismo, il centro dell’esperienza è l’abbigliamento. Ci si veste con abiti del genere opposto per piacere estetico, per curiosità, per esplorare la propria sessualità o come parte di una fantasia. Spesso rimane un’esperienza legata al “cambio di vestiti”, senza necessariamente influenzare comportamenti o ruoli sociali.


Parlare di queste tematiche significa entrare in un mondo ricco di sfumature e ramificazioni. Ad esempio, esistono le sissy maid o altri percorsi che permettono di esprimere il proprio lato femminile o di giocare con l’identità e l’immagine di sé. Ogni storia è unica e racchiude vissuti, desideri e bisogni differenti. Spesso, femminilizzazione e travestitismo vengono ridotti a una questione di abiti e apparenze, trascurando l’aspetto psicologico e relazionale che accompagna queste esperienze.


Oltre l’aspetto estetico

Molti tendono a pensare che chi pratica il travestitismo o la femminilizzazione sia motivato esclusivamente dal desiderio di vestirsi da donna. In realtà, queste pratiche possono racchiudere un universo di motivazioni, che variano da persona a persona.

1. Gioco di ruolo: alcune persone vivono la femminilizzazione come parte di una dinamica ludica, per sperimentare qualcosa di diverso nella vita di coppia o in contesti più ampi, ad esempio nel BDSM.

2. Esplorazione identitaria: per altri, rappresenta un modo per avvicinarsi ad aspetti della propria identità, non necessariamente transgender, che sentono poco espressi nella quotidianità.

3. Ricerca di libertà espressiva: c’è chi vede nella femminilizzazione o nel travestitismo una forma di emancipazione dai ruoli di genere più rigidi, un modo per sentirsi liberi di giocare con il proprio corpo, la propria immagine e il proprio vissuto.


La femminilizzazione, quindi, non è solo un cambio d’abito. Può includere anche l’acquisizione o l’emulazione di gesti, comportamenti, tono di voce e atteggiamenti considerati femminili. Per alcuni, è un percorso profondo. Chi la sperimenta può riscoprire un senso di delicatezza o dolcezza che magari non si sente libero di manifestare nella vita quotidiana.

In un contesto di coppia, la femminilizzazione può diventare un gioco che rafforza la complicità. Nel BDSM, invece, assume spesso connotati di sottomissione, dove la femminilità diventa un modo per mettere in luce il proprio lato più vulnerabile e remissivo. Nel travestitismo, invece, l’elemento centrale rimane il “cambio di vestiti”: l’adozione di indumenti e accessori percepiti come femminili (o maschili, nel caso inverso). Anche questa esperienza, però, può avere diverse profondità:

1. Piacere estetico: alcuni lo praticano per semplice gusto personale, trovando belli e attraenti quei capi, indipendentemente dal giudizio altrui.

2. Fantasia erotica: per altri, la dimensione sessuale è importante, e l’indossare abiti del sesso opposto diventa un vero e proprio feticcio.

3. Interesse sporadico: c’è chi lo vive come un’esperienza occasionale, legata a feste, eventi a tema o momenti di intimità, senza dargli un significato identitario più ampio.


Condivisione e dialogo

Chi si avvicina a queste pratiche condivide spesso un desiderio di apertura: poter parlare liberamente, confrontarsi con altre persone che vivono esperienze simili, scambiare consigli, paure e curiosità. Attraverso il dialogo, si scopre che non esiste un solo modo giusto o sbagliato di vivere la femminilizzazione o il travestitismo, ma tante possibilità quante sono le persone che li sperimentano.

Sebbene femminilizzazione e travestitismo possano sembrare etichette semplici, dietro di esse si nasconde un mondo di sfumature, emozioni e significati. È fondamentale ricordare che ogni percorso è personale e unico, e che non si finisce mai di imparare o scoprire qualcosa di nuovo su di sé.

Se queste righe ti hanno incuriosito, sentiti libero/a di approfondire, fare domande o condividere la tua esperienza. Il confronto aiuta tutti a comprendere meglio noi stessi e gli altri, ricordandoci che non esiste un’unica verità, ma tante prospettive diverse.

           Lady Altea

giovedì 19 dicembre 2024

La vigilessa

 Questo racconto è rivolto a un pubblico adulto e descrive situazioni legate al mondo BDSM, con particolare attenzione al gioco tra dominazione e sottomissione. Le pratiche descritte, come il bondage o la rasatura, richiedono una conoscenza approfondita e una grande attenzione. E’ essenziale che chiunque voglia esplorare questi mondi lo faccia con consapevolezza, rispetto reciproco e in pieno accordo tra le parti. Un gioco che può essere fonte di piacere e di connessione è profonda, ma se condotto senza la giusta preparazione può trasformarsi in un’esperienza rischiosa o addirittura pericolosa. Ricordate: il BDSM è prima di tutto consapevolezza, rispetto, sicurezza.

La vigilessa: un taglio alle maschere



Sono quasi le 19, un ultimo appuntamento e chiudo il negozio. Sono esausto: è stata una giornata lunga, ma fortunatamente tra un po’ arriverà Irene e mi rilasserò un po’, lei è una cara amica, le taglio i capelli da almeno dieci anni. Ha un taglio iconico, cortissimo, rasato ai lati e più lungo sopra. Questo look androgino è sempre piaciuto.                                  Con Irene poi, condividiamo gusti e passioni particolari: entrambi pratichiamo BDSM e prediligiamo le donne. Quante volte abbiamo giocato insieme, condividendo la stessa schiavetta e divertendoci come pazzi! Amo la sua energia.

Le assistenti stanno finendo di riordinare, Mirella è l’ultima ad uscire, resterà solo quei dieci minuti necessari a preparare il lavaggio. Puntuale come un orologio, Irene entra con passo sicuro. Ci salutiamo con un bacio sulle guance. Sento subito un’atmosfera frizzante: in lei c’è qualcosa di diverso, di elettrico. Mentre si accomoda al lavatesta noto il suo sorriso malizioso.” Non vedevo l’ora di venire” sussurra. Ha uno sguardo vivido, penetrante, carico di una strana euforia. E io sono curioso. Quando Mirella va via, restiamo finalmente soli. Irene si sistema sulla poltrona del taglio, la testa rilassata, pronta a sentire la vibrazione familiare della macchinetta scorrere sulla testa, per lei, il ronzio costante della macchinetta è come un rumore bianco, capace di calmarla e trasportarla in uno stato di rilassamento profondo. Alcuni clienti mi dicono che il suono della macchinetta evoca ricordi d’infanzia o momenti di cura personale, intensificando il piacere dell’esperienza.

“Devo raccontarti una cosa incredibile” dice, la voce lieve ma vibrante. “Mi è successa la settimana scorsa, ancora stento a crederci…” Sorrido: “C’è di mezzo una donna?” Irene fa un cenno divertito: “Oh, una donna? No, no. Una super donna.” Il suo tono si fa più caldo. “Ma prima fammi il taglio, poi ti racconto. Sono sicura che quando saprai i dettagli ti ecciterai. Per non rovinarmi la pettinatura, meglio procedere adesso. Poi andiamo al pub qui vicino, ho fame.” Annuisco: “Ok, anche io ho fame.” E attacco con la macchinetta.

Irene chiude gli occhi, godendosi la vibrazione sulla pelle e il ronzio rilassante che la avvolge. Mentre si rilassa penso a quanti segreti abbiamo condiviso, quante scene vissute. “Mi domando cosa avrà da raccontarmi questa volta. Irene non è certo una che si trattiene: ogni volta riesce a sorprendermi, e non vedo l’ora di scoprire che cosa è successo.”

Finito il taglio, chiudo il negozio e ci dirigiamo al pub. Non appena ci sediamo con la birra davanti, Irene si accende una sigaretta. Non sta più nella pelle, e io non vedo l’ora di scoprire questa storia. “mercoledì scorso” inizia, “c’erano le targhe alterne. Lo sai, io sono vigilessa e controllavo le auto con targa dispari in piazza San Carlo. Verso le 10, vedo una Mercedes con targa dispari sfrecciare. La fermo. Al volante c’è una donna bellissima: capelli rossi, occhi verdi, un’eleganza naturale. Lei mi fissa, sorride di circostanza e si scusa dicendo che conosceva la regola, ma doveva per forza venire in centro, era in ritardo per un lavoro urgentissimo.” Mentre Irene parla, immagino la scena. Irene in divisa, austera, la donna rossa nel suo tailleur. Una tensione fatta di sguardi. Irene continua: “Mi chiede di essere gentile, promette che avrebbe mandato un commesso a pagare la multa. Quel suo tono di superiorità, quell’aria da ‘io sono importante, fammi passare’, mi ha urtata. Così, per metterla al suo posto, le ho fatto accostare e ho iniziato la procedura: patente, libretto… Lei ha provato a protestare: “Ma sono di fretta!” E io: “Signora, la legge è uguale per tutti. Ho assunto il mio tono più fermo, da vera dominatrice.”

A questo punto, Irene abbassa un po’ la voce, come se volesse gustarsi ogni parola: “La vedo diventare rossa in viso. All’inizio penso sia rabbia. Ma poi sento qualcosa di diverso nella sua voce, un tremolio dolce, quasi arrendevole. In quel momento, dentro di me si accende la padrona. Mi diverto a elencare le sue mancanze, a farle sentire la mia autorità. Lei tace, testa bassa, in silenzio per dieci interminabili minuti. Quando le ho consegnato il verbale, ho aggiunto un ultimo rimprovero: “La prossima volta non sarò così gentile” Lei è salita in macchina a testa china, mormorando un flebile “Mi scusi”.

La mia mente è già in subbuglio. Immagino quella donna bellissima, abituata a comandare, ora muta, in imbarazzo. Irene la descrive con un accenno di bramosia nelle parole. “Dopo il turno” prosegue Irene, “alle 13 sono andata al bar a mangiare un panino, e chi trovo? Lei, circondata da uomini in giacca e cravatta. Appena mi vede, si avvicina di nuovo e si scusa, questa volta con più calma. Io, sempre rigida, rispondo: “Un po’ di educazione non guasta.” Lei, invece di irritarsi, quasi si confida: “Vorrei che i miei collaboratori avessero la sua grinta, ma sono degli smidollati, dei leccapiedi. A volte vorrei qualcuno che mi facesse sentire il polso duro!”                                                                   Ho intuito che non stava solo cercando comprensione, ma qualcosa di più profondo. Credimi, le si leggeva negli occhi. È lei a propormi un incontro: “Posso offrirle un drink per scusarmi? “Io le dico: “Smetto alle 16, ci vediamo qui.” Lei sorride, soddisfatta.”

Penso a Irene che, dopo queste parole, avrà diretto il traffico sognando quello che sarebbe successo. La guardo, e vedo che anche ora, raccontando, è eccitata. Ha le guance lievemente arrossate. Io stesso sento una vibrazione salire lungo la schiena. “Alle 16 entro nel bar. Lei mi aspetta. Mi siedo, mi spiega: “Non mi fraintenda, non invito mai vigilesse al bar, ma stamattina, quando mi ha trattata così, mi è successa una cosa strana:” Sembrava imbarazzata. Ha continuato: “Sono divorziata da sei anni. Da allora mi sento attratta dalle donne, e mi piacciono dure, cattive. Nel lavoro comando, ma nel privato voglio essere sottomessa. Adoro le divise… le donne con capelli corti, vagamente militari come lei. “Lo so, magari mi prenderà per pazza, ma ho sentito il bisogno di dirle queste cose. Non so perché, ma con lei mi sento al sicuro.”

Non credevo alle mie orecchie: una donna manager, sottomessa. Alle 17.30 eravamo già a casa mia. Lei, nuda, legata al letto. Dopo un’ora di mio trattamento fatto di baci, frusta, cera calda, mollette e vibratori, la sua voce rotta dal piacere mi ha detto le parole che adoro: “Fammi quello che vuoi, ti amo!’ A quel punto le ho chiesto in tono deciso ma carico di curiosità: “Ti faresti rasare tutta?” per un attimo ho visto il suo corpo irrigidirsi, come se cercasse il coraggio per rispondere. Tremante, con voce roca, ha sussurrato: “Sì, anche i capelli.”

L’ho slegata, l’ho portata in bagno. Era ancora visibilmente eccitata, il suo corpo tremava leggermente. ” Spogliati completamente,” ho ordinato, e lei ha obbedito senza esitazioni, rimanendo nuda davanti a me. Ho preso una corda e le ho bloccato le braccia allo schienale della sedia, poi le ho immobilizzato le caviglie. “Da buona schiava”, ho notato con un sorriso compiaciuto mentre prendevo un fallo di gomma e lo infilavo lentamente nella sua vagina, osservando ogni suo fremito. La sua pelle sembrava reagire a ogni gesto, come se fosse ipersensibile al tocco. Poi ho stretto il suo seno con una corda, legandola in modo da far gonfiare i seni rendendoli ancora più sensibili. La pelle intorno ai capezzoli era tesa, e il colore divenne di un rosso intenso. Quando ho terminato, l’ho posizionata davanti ad uno specchio:” Guardati! “ho detto con voce fredda ma compiaciuta.

Si osservava, il corpo legato e il fallo ancora dentro di lei. I suoi occhi si riempirono di eccitazione e un fremito di piacere la attraversò. Ho preso un pettine e ho iniziato a passarlo lentamente tra i suoi capelli rossi, come a volerle far sentire il contrasto tra la dolcezza di quel gesto e ciò che stava per accadere

Mi sono posizionata dietro di lei, prendendo un respiro profondo per stabilizzare le mani. Le dita si sono chiuse saldamente intorno alla macchinetta, ma il cuore mi batteva forte, quasi troppo per mantenere la calma che volevo trasmettere. Ho alzato la macchinetta, il ronzio pulsava nell’aria, e con voce ferma le ho ordinato: “Non muoverti!”

L’ho detto con autorità, senza esitazioni, ma dentro di me c’era un misto di eccitazione e controllo. Lei ha respirato a fondo, deglutendo lentamente, il suono quasi impercettibile ma evidente nella tensione del suo collo. I suoi occhi, chiusi, sembravano cercare un punto di equilibrio tra paura e resa. Poi ha annuito, lentamente, con un movimento appena accennato, come se ogni millimetro fosse un passo verso un abisso che desiderava esplorare.

Avvicinai la macchinetta alla sua testa. Il primo contatto fu lieve, quasi esitante, ma il ronzio si amplificò mentre la guidavo lungo la sua fronte, tracciando una linea netta tra la massa di capelli e la pelle liscia sottostante. Il contrasto era affascinante, quasi ipnotico. Ogni passata lasciava un sentiero di pelle nuda che sembrava reagire, increspandosi leggermente sotto il tocco vibrante della macchinetta. Lei tremava appena, il suo corpo rispondeva con piccoli fremiti, ma rimaneva immobile e obbediente. I capelli scivolavano giù a ciocche spesse, atterrando silenziosamente sul pavimento come foglie che si staccano da un albero in autunno. Ogni movimento era lento, calcolato.

Il ronzio della macchinetta cambiava lievemente intonazione a seconda della densità dei capelli che attraversava, creando un ritmo che si mescolava ai suoi respiri, profondi, quasi sincroni. Mi fermai un istante, osservando ciò che avevo creato: avevo lasciato intenzionalmente una corolla di capelli rossi intorno alla sua testa, come quella di un clown. Mi chinai accanto a lei, fissando il suo riflesso nello specchio. “Guardati,” le sussurrai con tono tagliente. “Pensa se ti vedessero i tuoi collaboratori, quelli che tratti male. Che cosa direbbero? Tu, che comandi tutti con il pugno di ferro, ora ridotta così. Mi piacerebbe davvero che fossero qui” Le sue guance si tinsero di rosso mentre un gemito soffocato sfuggiva dalle sue labbra sigillate dal cerotto. La sua umiliazione era evidente, ma lo era anche il piacere che provava. Non attesi troppo. Ho continuato, passando di nuovo la macchinetta sulla testa, cancellando ogni traccia di quei capelli clowneschi fino a che non rimasero solo sottili ombre di capelli sulla pelle. 

“Stai bene?” le ho chiesto, interrompendo un momento la rasatura. Lei ha aperto un occhio, lo sguardo vitreo, e ha sussurrato: “Sì, padrona. Mi sento… libera*.”

Quelle parole mi hanno fatto sorridere, le ho infilato le sue mutande in bocca e sigillato le labbra con un cerotto adesivo. e ho continuato a rasare, passando con cura sulla sommità del capo e poi sui lati, seguendo la forma della sua testa. Ogni curva, ogni movimento sembrava parte di un rito, e io ero completamente immersa in quella danza di controllo e trasformazione. Quando ho terminato con la macchinetta, c’era solo una leggera ombra di capelli sulla testa, come un ricordo ormai sbiadito. Ho spento il dispositivo e l’ho appoggiato sul tavolo accanto. Poi ho preso la crema da barba e l’ho applicata con dolcezza. La schiuma bianca creava un contrasto ancora più netto con la sua pelle arrossata. Ogni passata del rasoio era lenta, deliberata, e rivelava una pelle liscia e lucida, perfetta nella sua semplicità. Ogni tanto i suoi fremiti erano più evidenti, piccoli gemiti soffocati sfuggivano dalla sua bocca, e il suo respiro si faceva più profondo.

Ora le raso anche le sopracciglia. Non oppone nessuna resistenza, ormai succube di ogni mio desiderio. Le spalmo la schiuma da barba anche sul viso. Prendo il bilama e lo passo ovunque, anche sul viso. Rado tutto. Passo e ripasso il rasoio. La pelle si arrossisce leggermente. “Voglio vederti domani, se la tua arroganza sarà ancora la tua arma preferita.”

Le ho passato un panno caldo sulla testa, rimuovendo ogni residuo di schiuma da barba, poi ho versato un po’ di olio lenitivo sulle mani e ho iniziato a massaggiare il suo cuoio capelluto. La pelle arrossata reagiva al mio tocco, lucida e perfettamente liscia, mentre lei emetteva piccoli gemiti, quasi impercettibili, che rivelavano la sua totale resa. “Guardati” le ho ordinato, girandola verso lo specchio. “sei come voglio che tu sia: perfetta, umiliata e completamente mia.” I suoi occhi si sono riempiti di lacrime mentre osservava il suo riflesso: la testa rasata che brillava sotto la luce, il viso trasformato, segnato da un’espressione che mescolava vergogna ed estasi. Le sono passata accanto, piegandomi verso il suo orecchio, e le ho sussurrato con voce gelida:” Hai finito di venire *salopa? O vuoi continuare a dimostrarmi quanto sei una maiala?” Lei ha abbassato lo sguardo, un fremito attraversava il suo corpo, ancora legato alla sedia. Non ha risposto, ma il rossore che le tingeva le guance era eloquente.

Lì ho liberata con calma, slegando prima le braccia e poi le caviglie, osservandola mentre restava immobile, troppo scossa per muoversi da sola. Quando ho tolto il cerotto dalle sue labbra, il suo respiro era lento, rauco, quasi spezzato. “Padrona, la prego,” ha sussurrato con voce roca e supplicante, posso leccarla tutta? “Non aspettavo altro. Senza risponderle, mi sono seduta su una sedia accanto a lei, proprio tra i capelli che avevo appena tagliato, sparsi come un tappeto sul pavimento. Ho afferrato la sua testa rasata con entrambe le mani, tirandola dolcemente ma con fermezza verso di me. Il contatto della sua pelle liscia contro le mie cosce era indescrivibile, un misto di freddo e calore, di forza e vulnerabilità. L’ho guardata con gesti sicuri, posizionandola esattamente dove volevo.” Adesso dimostrami quanto sei devota, “le ho detto, spingendo la sua testa ancora più in profondità tra le mie gambe. Il contrasto tra la sensazione della sua testa rasata e il mio corpo era così intenso che per un attimo ho chiuso gli occhi, lasciandomi trasportare.

Ogni movimento che faceva era lento, misurato quasi reverenziale. La sua lingua seguiva percorsi che sembravano studiati, ma che in realtà erano pura istintività.

La pressione della sua testa contro di me aumentava, e io affondavo le dita nella sua pelle liscia, accarezzandola, godendo del controllo assoluto che avevo su di lei.

Quando finalmente mi sono lasciata andare, esplodendo in un potente orgasmo, ho sollevato leggermente la sua testa, costringendola a fermarsi. le ho guardato il viso, segnato da sudore e desiderio, i suoi occhi pieni di una devozione che non lasciava spazio ai dubbi. “Brava, salopa,” le ho detto con un sorriso soddisfatto, “ora sai qual è il tuo posto!”

Mi sono alzata, soddisfatta, lasciandola inginocchiata, ancora tremante per tutto ciò che aveva vissuto. Mi sono girata verso lo specchio. Osservando il mio lavoro, e ho sorriso. Lei con voce roca, ha sussurrato un ultimo:” grazie Padrona”.

Io invece, sono rimasto con la forchetta a mezz’aria, fissandola incredulo. Il suo racconto mi aveva totalmente catturato, al punto da farmi dimenticare la fame e persino il tempo, Irene sorrideva soddisfatta, accendendosi un’altra sigaretta. “ azz che storia”, le ho detto, cercando di mascherare l ‘imbarazzo dietro un sorriso malizioso. Lei ha riso, divertita dalla mia reazione, e ha fatto un gesto teatrale con la mano. “Aspetta Vitt, non è finita qui, ho una sorpresa.”

Prima che potessi rispondere, la porta del pub si è aperta, e una donna alta, elegante, con la testa completamente rasata e un trucco impeccabile, è entrata con passo sicuro. I suoi occhi verdi erano ipnotici, e l’aria di superiorità che emanava era in netto contrasto con il suo aspetto umile e obbediente. Si è avvicinata al nostro tavolo, abbassando leggermente la testa “Buonasera Padrona, Buonasera Padrone,” ha detto con voce sommessa, fissandomi con uno sguardo pieno di rispetto. I suoi occhi, verdi e profondi, sembravano scrutarmi, e per un momento ho percepito una deferenza cosi sincera da lasciarmi spiazzato. Non era un gioco, non era un’esibizione. Era autentico.

Irene, accanto a me, sorrideva compiaciuta, incrociando le braccia:” te l’avevo detto Vitt che non era solo una storia,” ha detto con un tono che mescolava provocazione e complicità, studiando ogni mia reazione.

Olga rimase in piedi, composta, con un’eleganza naturale che sembrava contraddire il ruolo che le era stato assegnato.”

“Che ne dici?” Irene continuò, inclinando leggermente la testa verso di me. “Hai voglia di scoprire fino a dove può arrivare questa notte?” Non risposi subito. Cercavo di processare ciò che stava accadendo, il significato di quello sguardo. Di quelle parole. Olga, come se capisse il mio tentennamento, abbassò lievemente gli occhi in un gesto di rispetto, ma senza mai perdere la sua compostezza.

“La macchina è pronta,” disse con una voce tranquilla e sicura, rivolta principalmente a Irene. Poi, voltandosi verso di me, aggiunse con un sorriso enigmatico:” Se decide di unirsi a noi, Padrone.”

Irene si alzò con calma, e mi guardò. “Questa notte potrebbe essere più interessante di quanto immagini.”

Non risposi subito, ma mi alzai con calma, il mio sguardo che sfiorava il suo per un attimo. “Andiamo, “dissi semplicemente, ma con tono che non ammetteva repliche.

Fuori, la Mercedes di Olga ci aspettava. Lei aprì la portiera posteriore con grazia, lasciando che io e Irene prendessimo posto. Una volta a bordo, Irene mi osservò per un attimo, con uno sguardo che parlava più di mille parole: complicità, sfida e un pizzico di curiosità.

“Benvenuto nel nostro mondo, Vittorio,” disse con un sorriso sottile, ma la sua voce portava con sé un invito chiaro, un’anticipazione che non lasciava spazio a dubbi.

Mi sistemai sul sedile, lasciando che la macchina partisse. Non ero lì per caso, e lo sapevo bene. Non era solo curiosità a spingermi, ma una naturale predisposizione a comprendere e guidare situazioni come questa. La dinamica tra di noi si sarebbe definita presto, ma non c’era fretta. La notte era giovane, e ogni cosa avrebbe trovato il suo tempo e il suo spazio. Sapevo leggere l’animo umano, ogni respiro trattenuto, ogni tensione nel corpo. Era una parte naturale di me, non qualcosa che dovevo dimostrare. Non era una sfida, né un confronto. Era una scoperta reciproca, un terreno che avremmo condiviso e plasmato insieme. Mentre la macchina correva nel silenzio della notte, il mio sguardo si alternava tra Irene e Olga. Non ero lì per essere spettatore. Quella notte avrebbe preso forma, e sapevo che in qualche modo sarebbe rimasta impressa in tutti noi.

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Questo racconto è basato su una storia originale del Barber. Ho arricchito il testo con dettagli e riflessioni per renderlo ancora più coinvolgente, mantenendo però l'essenza e l'ispirazione originaria."

*Quando la donna sussurra di sentirsi “libera”, si apre uno spiraglio su una realtà complessa e profondamente personale. La libertà, in questo contesto, non è un concetto assoluto né un’esperienza universale. Non tutti trovano libertà nella sottomissione, così come non tutti trovano appagamento nel controllo. Ogni individuo ha un proprio modo di vivere il piacere, l’intimità e l’espressione di sé, e queste dinamiche funzionano solo per chi sente di appartenervi, in un equilibrio unico e irripetibile.

Per chi le vive, queste esperienze non sono mai una fuga dalla quotidianità o dai problemi personali, né un semplice “gioco” privo di significato. Sono piuttosto una ricerca profonda, che tocca corde intime e nascoste. La sottomissione, per alcuni, è la possibilità di mettere da parte il bisogno costante di controllare tutto, di abbandonarsi completamente a qualcun altro, sapendo che quel qualcuno agirà con rispetto, cura e attenzione. È una forma di fiducia radicale, un atto di connessione che permette di esplorare la propria vulnerabilità in modo sicuro e consensuale.

Ma non è solo una questione di libertà dalla responsabilità. È anche un modo di scoprire nuove parti di sé, di mettersi in gioco in un contesto che rompe le regole della quotidianità e consente di vivere qualcosa di unico. Per altri, invece, la libertà si trova nel ruolo opposto: nel dominare, nel prendersi cura di chi si affida, nell’assumersi il carico emotivo e psicologico di guidare un’esperienza così intensa.

 Queste esperienze non hanno nulla di universale, nulla di facile da spiegare o da replicare. Non si tratta di evadere, ma di scegliere consapevolmente di vivere una dinamica che risponde a desideri profondi e personali. È un linguaggio dell’anima che non può essere compreso appieno da chi non lo parla, ma che è meravigliosamente significativo per chi lo vive. È libertà, sì, ma di un tipo speciale: la libertà di essere pienamente se stessi, anche in modi che il mondo non sempre capisce o accetta. *

 

*Salopa: Ha 2 significati: uno è porcellina" l'altro "puttana dal francese Salop

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